In occasione della Festa di Ognissanti, desideriamo riportare alla luce una dei tanti episodi che vedono protagonisti uno dei santi più amati d’Italia: Padre Pio. L’episodio è contenuto nel libro di Vincenzo Maida “I muri parlano”.

di Vincenzo Maida

Tanti episodi della vita del frate più famoso d’Italia nel secolo scorso sono noti. Ma ve ne sono tantissimi sconosciuti. Una sera d’inverno mi sono per puro caso imbattuto con alcuni di essi che mi limito a raccontare. Quasi in fondo a via Gioberti a Montalbano Jonico in provincia di Matera, arrivai davanti al portone di ingresso della casa della famiglia Bonelli.

Suonai al citofono, sapevo che lì ancora viveva l’unica superstite della famiglia, una novantenne che aveva insegnato per una vita religione alle scuole medie. Volevo salutarla, ero curioso di sapere di lei, di sottrarle altre informazioni sulla sua famiglia che aveva svolto in paese un ruolo importante nella prima metà del novecento. Si aprì il portone di ingresso, lei si affacciò sul pianerottolo in cima alle scale, vidi un fantasma di donna, era diventata piccola, ripiegata su se stessa in modo spaventoso, mi chiese chi fossi, al mio nome mi invitò a salire.

Ci accomodammo in un piccolo salotto, dove ero già stato tanti anni addietro per un’intervista a suo fratello, giudice a Milano. Giovanni Battista Bonelli era andato in pensione come Presidente dei GIP del Tribunale del capoluogo lombardo ai tempi di “mani pulite”. Incominciammo a chiacchierare, feci delle domande per saggiare il suo grado di lucidità e rimasi stupefatto: mi sembrava incredibile che da quel residuo di corpo ripiegato, rattrappito e con il mento quasi sulle ginocchia, uscisse una voce limpida, chiara, un’articolazione di frasi perfette, lucide, senza intercalari. La madre, Maddalena Cascavilla, proveniva da San Giovanni Rotondo ed era stata una delle prime pie donne a essere stata vicina a padre Pio. Spesso da piccolo portava Giovanni Battista a salutare il frate di Pietralcina, quando si recava a far visita ai familiari. Quando vinse il concorso da giudice presso la Procura della Repubblica di Milano, recatosi dai parenti a San Giovanni Rotondo, incontrò padre Pio che gli chiese cosa facesse ora nella vita e Giovanni Battista orgoglioso di farglielo sapere e anche un po’ impettito, gli rispose: «Sono giudice presso la Procura della Repubblica di Milano». Padre Pio lo fulminò con uno sguardo e gli replicò: «Povera Repubblica allora, comportati bene e giudica sempre con coscienza».

Nel 1963 a Giovanni Battista morì una sorella di 36 anni per tisi. La madre in quella occasione litigò con Padre Pio. Gli aveva chiesto di guarirla pregando per lei. Ma la giovane donna era morta, non erano servite le visite a Bari, a Milano, tramite il fratello giudice, dai migliori specialisti. Se n’era andata a 36 anni. Il frate di Pietralcina, a una lettera risentita della madre – mi raccontò quel residuo di corpo che mi stava davanti – l’aveva liquidata affermando: «Maddalena, non è che posso salvare tutti quelli che si ammalano, altrimenti non morirebbe più nessuno. Io intercedo, chiedo la grazia, ma non dipende da me, è il Padreterno che decide su chi lasciare ancora qui e chi portarsi con lui». Poi fecero pace, lei andò a confessarsi e ottenne conforto dal frate. Il carteggio della corrispondenza tra la famiglia Bonelli e Padre Pio, su richiesta dei frati di San Giovanni Rotondo, è stato acquisito per la causa di beatificazione.

Maddalena Cascavilla è citata da San Pio anche in alcune lettere inviate a quelle che lui chiama “carissime figliuole” e, specificatamente, in quelle che portano la data del 7 dicembre 1916, 17 aprile 1918, del 1 maggio 1918 e del 5 maggio 1918, nella quale – riporto testualmente – scrisse: “Anche a Maddalena (Cascavilla) inviai una lettera, ma ignoro se l’abbia ricevuta. Anche ad essa, assieme all’ottima di lei madre, sarete compiacenti di ossequiarmela”. Le lettere riuscii poi a procurarmele tramite Stefano Campanella, direttore di Radio Padre Pio.

Con il giudice avevamo un amico comune, un medico. Egli si prendeva cura degli acciacchi del giudice  non solo quando soggiornava nel suo paese natio, ma lo consultava anche quando risiedeva stabilmente nella capitale lombarda. Un giorno al medico raccontai della mia amicizia con Giovanni Battista Bonelli e delle sue confidenze sulla sua esperienza con Padre Pio e dell’amicizia che aveva legato la madre per una vita intera al frate di Pietralcina. Il medico, che aveva fama di grande clinico, poco aduso a credere ai miracoli, ubiquità e predizione del futuro, sgranò gli occhi, si guardò intorno con fare sospetto, mi raccomandò di non dire nulla a nessuno, chiuse a chiave la porta della stanza in cui ci trovavamo e iniziò a raccontarmi.

«Mi devi credere», disse. «Sai che non sono un ciarlatano, certo, cattolico a modo mio, come tanti, non frequento la chiesa, non vado a messa la domenica, però quello che mi capitò con Padre Pio mi ha lasciato un segno. Mi ero appena laureato, all’epoca una laurea in Medicina per un figlio di un modesto artigiano era un evento, mio padre era un muratore, i titoli di studio universitari erano riservati ai nobili o ai figli dei ricchi. Mia madre insisteva per andare a San Giovanni Rotondo da Padre Pio per ringraziarlo.

Avevano organizzato un viaggio in pullman che sarebbe partito la sera tardi per arrivare in tempo perla celebrazione della sua messa mattutina. Io non avevo alcuna voglia di andarci, mi ero laureato grazie ai miei sforzi, non avevo nessuno da ringraziare, ma alla fine cedetti per farla felice. Una levataccia quella notte, dovetti spostare alcuni appuntamenti. Arrivammo puntuali a San Giovanni Rotondo. Dopo la messa, a cui assistetti assonnato e distratto, il frate sparì per tornare dopo poco e iniziare le confessioni. Ancora oggi, quando ci penso, mi vergogno. In mezzo alla folla indicò proprio me, con il dito puntato, con gli occhi che sembravano due fari accesi, mi urlò di andarmene: «Che sei venuto a fare? Vai via subito», mi disse. Mi guardai intorno, fingendo indifferenza. «Sto parlando proprio a te, non fare finta di non capire», urlò ancora padre Pio. A quel punto non avevo più scampo, rosso come un peperone di Senise, guadagnai l’uscita e quei pochi metri mi parvero interminabili. Ero dispiaciuto soprattutto di mia madre, per la figuraccia che le avevo fatto rimediare davanti ai compaesani. Dopo poco lei mi raggiunse vicino al pullman e mi chiese: «Cosa hai combinato per meritarti questo trattamento?». Non sapevo cosa rispondere e replicai: «Si sarà sbagliato, deve avermi scambiato per un altro oppure sarà rimbambito». «Quello non si sbaglia mai» chiuse il discorso mia madre. Affrontammo il viaggio di ritorno in silenzio, poi gli impegni di tutti i giorni ci distrassero da quell’accadimento. Dopo qualche mese mia madre tornò di nuovo alla carica: «Dobbiamo tornarci. È una ferita per me che non si rimargina». «Io non ci vengo a rimediare un’altra figuraccia», replicai.

Nei giorni seguenti lei ebbe un’idea, dopo averci pensato notte e giorno: «Facciamo così, andiamo, in chiesa entro solo io, gli chiedo se vuole incontrarti e se la risposta è affermativa vengo fuori ad avvisarti. Mi hanno detto che dopo la prima volta, se si rende conto che vi è un vero pentimento, diventa amorevole e comprensivo». «Ma pentimento per cosa?», replicai, «Non ho ammazzato nessuno». Alla fine cedetti, il legame – continuò a raccontarmi l’amico medico – che mi univa a lei era troppo forte per deluderla. Andammo nuovamente a San Giovanni Rotondo, aspettai fuori, vidi uscire mia madre dalla chiesa e dall’espressione del suo viso compresi che aveva avuto una risposta positiva.

«Puoi entrare» mi disse mia madre «ti aspetta in sagrestia». Ci andai a passo spedito, sicuro di me, ma quando mi trovai da solo con lui, devi credermi, era quasi la mia metà come altezza, lo avvertii più alto, mi sentii dominato da una forza superiore, i suoi occhi mi penetravano, mi sentii nudo, senza segreti nell’anima, caddi in ginocchio. Mi confessò, mi rinfacciò qualche marachella che avevo combinato nel mio studio medico, mi disse che la mia era una professione delicata e non dovevo utilizzarla anche per scopi mondani. Come facesse a sapere tutto di me, per chi come il sottoscritto è abituato a ragionare e a studiare cose di scienza e di medicina, rimarrà sempre un mistero. Alla fine mi diede la penitenza, mi ordinò di recitare un certo numero di Ave Maria e Padre Nostro, mi raccomandò di svolgere sempre la professione con scrupolo e comprensione della sofferenza degli ammalati e mi concesse l’assoluzione dei peccati. È stata un’esperienza che non dimenticherò mai».

 

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