di Dina Nerozzi
Ancora una volta la guerra infuria nel cuore dell’Europa e in altre parti del mondo, con il suo carico di morte e distruzione, e allora torna alla mente lo scambio epistolare intervenuto sull’argomento agli inizi degli anni 30 del secolo scorso
Era il 1932 quando i due campioni dell’intellighenzia ebraica, Albert Einstein e Sigmund Freud, si ponevano una domanda cruciale: “Perché la guerra?” Perché l’uomo con tutte le sue capacità non era ancora riuscito nell’impresa di rendere la guerra un passaggio obsoleto e da rifiutare in principio?
Sembra strano che dovessero essere due rappresentanti dell’intellighenzia ebraica a cercare di dare una risposta a un quesito che interessa ogni singolo uomo su questa Terra, ma tant’è, il compito di tentare di dare una risposta a una questione di importanza vitale per l’intera umanità gravava sulle loro spalle, forse in quanto appresentanti del popolo eletto.
E’ il caso di ricordare come subito dopo la fine della I guerra mondiale, attraverso la creazione della Società delle Nazioni, era già stato posto in essere il tentativo di dare una risposta al problema di por fine alle guerre con la creazione di un organismo internazionale in grado di prevenirle attraverso il controllo internazionale degli armamenti, la gestione diplomatica delle dispute tra gli Stati e l’incentivazione del benessere dei popoli.
La Società delle Nazioni originariamente aveva come membri permanenti Francia, Gran Bretagna, Giappone, Italia a cui si aggiunse nel 1926 anche la Germania che aveva subito sanzioni gravissime dopo la sconfitta bellica, sanzioni mal sopportate da una parte della popolazione che le considerava troppo punitive. L’inserimento della Germania tra i membri permanenti della Società delle Nazioni può essere visto come un tentativo di riequilibrare lo status quo considerato non tollerabile, tentativo che però il tempo si incaricò di dimostrare insufficiente.
Secondo Albert Einstein la responsabilità dello scoppio delle guerre andrebbe cercata in “una minoranza interessata soltanto ad arricchirsi che vede nella guerra l’occasione per promuovere i propri interessi….che riesce ad asservire la massa del popolo che dalla guerra ha solo da perdere e da soffrire”. In cui gli elementi determinanti sarebbero due, l’apparato industriale militare e la massa del popolo asservita, trascurando completamente l’elemento politica.
Che l’apparato industriale militare abbia bisogno di vendere armi per prosperare è un dato di fatto, così come ormai è un dato di fatto che gli stake holders abbiano interesse a veder crescere i profitti delle aziende in cui hanno investito i loro fondi così che la platea interessata a veder scoppiare conflitti in ogni angolo del pianeta aumenta di pari passo.
A onor del vero, gli unici che non hanno alcun interesse nello scoppio di una guerra sono proprio le popolazioni coinvolte.
L’ipotesi messa in campo da Albert Einstein che sia la “massa del popolo”, indotta dalla stampa, dalla scuola e dalle organizzazioni religiose “che decide di lasciarsi infiammare fino al sacrificio di sé”, lascia quanto meno perplessi. Che il costo delle guerre vada a ricadere sulle popolazioni questo è un dato di fatto innegabile, ma esistono forti dubbi sul fatto che la responsabilità dello scoppio delle guerre possa essere addossata alla “massa del popolo che si lascia infiammare fino al sacrificio di se’”.
Invece di armare gli organismi internazionali allo scopo di conservare la pace nel mondo, come suggerito da Sigmund Freud sempre nello scambio epistolare, forse sarebbe opportuno che i governanti, prima di dichiarare una guerra, interpellassero le loro popolazioni per capire se veramente si siano fatte infiammare al punto da sacrificare se stesse. Solo così, forse, si potrebbe veder ridotto il numero dei conflitti in atto in giro per il mondo e solo così ”le masse del popolo” potrebbero essere considerate direttamente responsabili delle sofferenza a cui andranno sicuramente incontro con lo scoppio di una guerra.
La guerra – come malattia, carestia e morte – è nell’ordine naturale delle cose.