Alle proteste che hanno preso vita a Pechino in Cina, dovute alle restrizioni anti-Covid ancora pesantemente presenti nel Paese, si aggiungono quelle di uno dei centri di produzione Apple più importanti al mondo, quello di Zhengzhou dove si calcola che la produzione subirà un calo di quasi 6 milioni di I-Phone. Un danno incalcolabile che potrebbe convincere le aziende a trasferire la produzione in altri territori. Proteste si sono registrate anche a Shanghai, Guangzhou e in diverse altre parti della Cina dove si chiedono apertamente le dimissioni di Xi. Tra i manifestanti gente comune, lavoratori in rivolta perchè sottopagati, studenti che chiedono libertà. Le proteste in massa sono sfociate in scontri con la polizia che cerca di reprimere anche su internet i video e le immagini delle manifestazioni.

Da capire, oggi, se la protesta sia fomentata da qualche gruppo in particolare e quale sia il reale obiettivo. La Cina da anni attua il modello del controllo sociale. Fin dall’inizio del Covid le restrizioni e le chiusure sono state piuttosto aspre e hanno praticamente inasprito il sistema del credito sociale cinese, con punti e “permessi” concessi dallo Stato ai cittadini “virtuosi”. Lo strumento, che ufficialmente dovrebbe incentivare i buoni comportamenti mentre in via ufficiosa sembra limitare enormemente le libertà dell’individuo, è servito a intensificare i controlli durante i famigerati lockdown e sanzionare chi non rispettava le misure. Oggi, dopo anni, le proteste. Il tutto in un momento in cui Taiwan sceglie di appoggiare, con la sconfitta alle amministrative dei democratici progressisti, il governo filocinese. Cui prodest?

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