di Adriano Da Pozzo

I mondiali in Qatar probabilmente stanno rappresentando il momento più basso raggiunto dal calcio a livello sociale, piegato dal dio denaro a svolgere la sua competizione più nota, a dicembre, nel deserto, in un paese senza nessuna storia calcistica ma pieno zeppo di petroldollari.

Per carità i mondiali di calcio, l’appuntamento più seguito al mondo, sono sempre stati “strattonati” dalla politica per quello che oggi viene chiamato “sportwashing”, basti pensare a Cile ’62 o Argentina ’78 ma almeno questi si svolsero in paesi e soprattutto in un continente che col calcio aveva una certa dimestichezza.

Qatar ’22 in verità è cominciato con qualche sorriso vedendo le indicazioni per il pubblico negli stadi fortemente anti-LGBT ma poi la cloaca valoriale rappresentata dal mondo occidentale ha dato il massimo per la propaganda globalista, inginocchiamenti pro-BLM, orologi e fasce da capitano arcobaleno etc etc

Tutto da buttare quindi? Nì. Cosa c’è di bello? Il Marocco in semifinale grazie al reclutamento in nazionale dei figli della diaspora maghrebina in tutta Europa.

Aldilà dei meriti della Federcalcio locale è innegabile che sia la REMIGRAZIONE (per quanto solo calcistica per adesso) dei giocatori che compongono la rosa alla base di questo successo. Su 26 convocati ben 14 sono nati all’estero: Bounou in Canada; Amrabat, Aboukhlal, Ziyech e Mazraoui in Olanda; Chair, Amallah, El Khannous e Zaroury in Belgio; Cheddira è nato da noi in Italia, a Loreto; Hakimi e Munir in Spagna; Boufal e Saiss in Francia. Sabiri è emigrato in Germania quando aveva solo tre anni e ha giocato con l’Under 21 tedesca. Anche Il c.t. Regragui è nato nelle banlieue parigine.

Che questa pagina di sport possa risvegliare nei giovani marocchini sparsi per il mondo il sentimento di tornare in Marocco dando avvio a quella grande REMIGRAZIONE che non può che portare benessere a loro e soprattutto a noi.

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