di Gloria Callarelli (foto: Twitter)

Finita l’epoca di Greta Thunberg il nuovo ordine mondiale ha già incoronato il suo nuovo supereroe ecologista. La strategia mondialista, infatti, ha deciso di puntare forte sul presidente Lula da Silva, il neoinsediatosi numero uno del Brasile.

Ex sindacalista e politico progressista, nonostante la condanna a 12 anni per corruzione e riciclaggio il supereroe Lula “tutto verde e oro” da Silva, sembra essere il profilo perfetto da spingere in Sud America. Mentre il Paese è ancora in piena tribolazione e spaccato politicamente a metà, con buona parte della popolazione che ritiene che Bolsonaro sia stato scalzato irregolarmente, lui tira dritto e, vista la sua agenda politica, può senz’altro contare su appoggi governativi un po’ ovunque nel mondo. Primo punto dell’agenda, naturalmente, il verde con la transizione ecologica e la religione ecologista così come ampiamente preannunciato durante il suo discorso di insediamento alla Cop27 di Sharm El Sheihk dello scorso novembre di fronte ai rappresentanti delle Nazioni Unite.

Macron, Von der Leyen, Biden, filantropi vari e dulcis in fundo Zelensky: il mondialismo che conta, lo sappiamo, è in prima linea a fianco delle “sfide globali” annunciate dal nuovo presidente. Sostegno non è mancato neanche da parte di Paesi come la Norvegia che, assieme al nuovo partener verde, la Germania, ha finanziato in passato il “Fondo Amazzonia”. “Il nuovo presidente del Brasile ha espresso la chiara ambizione di fermare la deforestazione entro il 2030“, così il compiaciuto Espen Barth Eide, ministro del Clima e dell’Ambiente norvegese. Celere anche l’appoggio della Open Society Foundations di Soros che ha da subito espresso le congratulazioni a Lula con un messaggio esplicativo: “La società civile brasiliana ha mostrato al mondo che la vittoria contro l’autoritarismo è possibile”. Tanto per avere ben chiaro da che parte stanno.

Alla guida dell’agenda ambientalista brasiliana, Marina Silva, già ministro dell’ambiente dal 2003 al 2008, attivista recuperata da Lula dopo la rottura avvenuta internamente negli anni scorsi. Indovinate un po’: oggi è ministro dell’ambiente e dei… cambiamenti climatici e si è già messa al lavoro a fianco del presidente tutto “verde e oro”, approvando due organi rigidi e impositivi quali l’Autorità nazionale per la sicurezza climatica, nell’ambito del Ministero dell’Ambiente, e il Consiglio sui cambiamenti climatici.

Marina Silva nel suo discorso di insediamento è stata molto chiara. Ambiente sì, ma guai se affrontato senza il controllo sociale di stampo comunista. Ci fa infatti sapere: “…Oltre a queste innovazioni, riprese e potenziamenti, vorrei sottolineare l’importanza della partecipazione e del controllo sociale. Ancora una volta, è importante riconoscere l’ovvio. La politica ambientale nazionale si fa e si sostiene grazie alla partecipazione sociale. Così si esprime la Costituzione federale quando dice che l’ambiente è un obbligo del potere pubblico e della collettività”. Parole non certo scritte a caso. Non si parla di attenzione al sociale, si parla, come da due-tre anni a questa parte, di CONTROLLO. I provvedimenti restrittivi presuppongono inoltre dei veri e propri “reati ambientali”, che prevedono il taglio netto di norme che Bolsonaro aveva introdotto per rallentare le misure coercitive rispetto alla deforestazione e incentivare invece l’agricoltura e il settore primario del territorio. Tra i provvedimenti troviamo: rendere più corpose le squadre degli ispettori ambientali e mettere sotto controllo, attraverso i sistemi satellitari di videosorveglianza, i territori disboscati. Addirittura si parla di interdire e bloccare le linee di credito dei proprietari delle aree sottoposte a controllo.

L’obiettivo sbandierato ufficialmente è quello di raggiungere la deforestazione zero, tema urlato ai quattro venti dal mainstream del Great Reset, molto “sentito” in Amazzonia e importato anche in Europa. L’UE, infatti, sulla questione ha approvato il Green Deal, il cui regolamento, come si legge sul sito dell’Unione Europea, “garantirà che una serie di beni fondamentali immessi sul mercato dell’UE non contribuirà più alla deforestazione e al degrado forestale nell’UE e nel resto del mondo”. Il comunicato continua: “Poiché l’UE è una delle principali economie e consumatori di questi prodotti, questo passo contribuirà a fermare una quota significativa della deforestazione globale e del degrado forestale, riducendo a sua volta le emissioni di gas a effetto serra e la perdita di biodiversità”. Tutto ben confezionato, certo, ma la sostanza celata nasconde il nuovo business globalista contro il vero ritorno alla terra, al Creato e al buonsenso: “Tutte le aziende interessate – continuano – dovranno condurre una rigorosa due diligence se immettono sul mercato dell’UE o esportano da esso: olio di palma, bovini, soia, caffè, cacao, legname e gomma, nonché prodotti derivati come manzo, mobili o cioccolato”. In altre parole una repressione nel settore primario vera e propria per chi va contro le linee guida del padrone. Nel mirino, in particolare, gli allevamenti: non dimentichiamoci che le élite stanno puntando forte sul foodkenstein, la carne sintetica nuova “prelibatezza” del futuro.

Si legge sul sito governativo del Brasile: “Con le modifiche promosse il contratto di concessione forestale pubblica prevede ora il diritto di vendere crediti di carbonio e prodotti e servizi forestali non legnosi, quali: servizi ambientali; accesso al patrimonio genetico o alle conoscenze tradizionali associate a fini di conservazione, ricerca, sviluppo e bioprospezione; ripristino e rimboschimento di aree degradate; attività di gestione finalizzate alla conservazione della vegetazione autoctona o alla prevenzione del disboscamento; prodotti ottenuti dalla biodiversità locale, tra gli altri“. Al di là dell’aspetto commerciale, non trascurato soprattutto dai cosiddetti filantropi, salta subito all’occhio il discorso relativo alla messa in vendita del patrimonio genetico delle specie. Voi sapete, vero, che esiste un bunker nell’isola norvegese di Svalbard che contiene 300 milioni di semi di specie vegetali commestibili? Si chiama Global Seed Vault e, neanche a dirlo, è stato finanziato dalla Bill e Melinda Gates Foundation, da Rockefeller, dalla Monsanto oltre che dal governo norvegese. L’idea è di preservare le specie in caso di perdita accidentale dovuta, magari, a una grande catastrofe globale. Vi ricorda qualcosa? A chi tutto questo sarà accessibile? Ma non vi sembrano più complottisti di noi?

La fissa della maxi produzione di CO2 di tutto ciò che vive ed emette comunque naturalmente il gas, così come il bestiame emette naturalmente CO2, così come l’essere umano emette naturalmente Co2, è diventato il mantra del progetto globalista. Approfittando di questo “allarme universale” dunque, oltre a costruire questo sistema di controllo, Lula concentrerà i suoi uomini negli organi che gestiscono il “fundo clima” e il “fundo amazonia”, strutture incaricate di raccogliere capitali dall’estero per combattere il problema. Gestendo così di fatto l’intera macchina “ricoperta” di …oro.

Finita l’era di Greta, dunque, è giunta l’ora di Lula, supereroe ecologista “tutto verde e oro” ed è presto spiegato il perchè. Siamo in attesa ora di vedere le passerelle di Biden, John Kerry, Bill Gates, George Soros, Klaus Schwab e magari, perché no, Leonardo Di Caprio. Una bella foto di gruppo, qualche tweet e la campagna mediatica strappalacrime degli attori e politici di turno. L’importante è salvare il dio ambiente introducendo così, a piè sospinto, dentro al cavallo di Troia green, le politiche globaliste. Attendiamo fiduciosi, ad esempio, la stessa campagna strappalacrime per salvare i bambini sacrificati con l’aborto. Ah no, scusate: quello per i nostri governanti non è un’emergenza, è un diritto.

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