di Siro Mazza
Brillante giornalista milanese, laureato in Scienze Politiche, Gianluca Mazzini è attualmente vicedirettore di NewsMediaset. Esperto di questioni medio-orientali, è stato per anni inviato speciale per Telemontecarlo in quel contesto geografico-politico. Si è anche a lungo occupato di tematiche sportive. Nel 2022 per la Casa editrice milanese Lupetti è uscita la seconda edizione del libro-inchiesta “Qatar 2022. Un mistero mondiale”. Come qualificato “addetto ai lavori”, gli abbiamo rivolto le seguenti domande:
Caro Gianluca, ancor più alla luce dei più recenti fatti, il tuo libro ha centrato certamente il bersaglio! Puoi brevemente riassumercene il contenuto e le tesi che vi avevi esposto?
Il Qatar è un caso unico di forza economica, mediatica, geopolitica e militare. Che andava studiato. Anche perché da noi, a differenza che in Francia e Gran Bretagna, non esistevano libri sull’argomento. Il Qatar è il terzo produttore al mondo di gas liquido. In pratica è una penisola che galleggia sul gas, le cui riserve sono talmente vaste da non poter essere calcolate. Questo, oggi più che mai, dà una forza strategica straordinaria all’Emirato, che lo differenzia da tutte le altre monarchie del Golfo che hanno a disposizione (sempre più ridotti) giacimenti petroliferi. Nel 1996 a Doha nasce Al Jazeera, la prima tv satellitare araba, che sul modello della Cnn rivoluziona l’informazione in tutto il Medio Oriente. Per 400 milioni di arabi la tv del Qatar rappresenta una ventata di “libertà” che cambia il Medio Oriente innescando, ad esempio, le Primavere arabe. Dal punto di vista geopolitico, il Qatar si trova al centro del Golfo Persico, “schiacciato” tra due storici nemici che si contendono il ruolo di superpotenza locale: l’Arabia Saudita e l’Iran. Giocando su più tavoli diplomatici, Doha è diventato un luogo “neutrale”, dove si fanno incontri e accordi impossibili altrove. Si pensi alla trattativa tra talebani e Americani che ha portato alla fine della ventennale guerra occidentale in Afghanistan. Dal punto di vista militare, il Qatar ha appena diecimila uomini nelle sue Forze Armate, ma ospita la più grande base americana nel Medio Oriente. Per valorizzare tutti questi punti di forza, il Qatar aveva bisogno di farsi conoscere. Ecco gli investimenti a Parigi e Londra ma anche in Italia. Obiettivi i grandi marchi della moda ma anche il calcio: i due vettori che danno la maggiore visibilità mediatica al mondo. Questo spiega la grande operazione degli emiri per portare a Doha il Mondiale del 2022. Non badando a spese, legali e illegali che fossero. Un percorso che inizia nel 2010 con un accordo siglato all’Eliseo tra Sarkozy, l’emiro Al Thani e Platini. Un’intesa segreta e clamorosa che va dalla caduta di Gheddafi in Libia (la leggenda vuole che il Rais sia stato eliminato dai servizi segreti qatarini), all’acquisto di asset strategici in Francia, fino al voto dell’Uefa (guidata da Platini) a favore dell’assegnazione dei Mondiali in Qatar (a discapito degli Stati Uniti).
Ma il Qatargate – così come poi si è palesato – era prevedibile o, meglio, immaginabile?
Da almeno 15 anni il Qatar è sempre presente in molte vesti in tutti i Paesi europei. Il problema è che l’Emirato non è uno Stato “normale”, ma una monarchia assoluta dove i diritti umani non sono rispettati. Secondo Amnesty International, almeno settemila operai sono morti nei “lavori forzati” per costruire in mezzo al deserto, in condizioni climatiche estreme, otto stadi ultramoderni. Parliamo, poi, di uno stato confessionale che ha come religione l’Islam in versione wahabita, ovvero la più integralista. Nel 2017 il presidente francese Macron ha accusato senza mezzi termini Doha (e Riyad) di aver finanziato gruppi fondamentalisti islamici che hanno insanguinato le stragi di Parigi e Bruxelles con vari attentati. Non solo, attraverso organizzazioni non governative e caritatevoli il Qatar fa proselitismo islamico in Europa e vede favorevolmente l’incremento dell’immigrazione islamica da noi. Questo spiega da una parte lo sportwashing (ripulire la propria immagine attraverso lo sport), quindi i Mondiali del 2022, ma anche il bisogno di simpatie politiche nel Parlamento Europeo per alimentare i suoi business economici e religiosi. Se si facessero indagini, anche a livello nazionale, su finanziamenti più o meno occulti che uomini politici ricevono dalle monarchie del Golfo potrebbero esserci altri scandali. Una nota a margine. Nel 2020 lo Stato italiano ha firmato con l’Emirato un accordo bilaterale per favorire gli scambi culturali tra i due paesi. Un accordo fortemente voluto dal Qatar e approvato dal nostro Parlamento con il 96% dei voti. Solo gli allora pochi deputati e senatori di Fratelli d’Italia hanno votato contro, preoccupati di una possibile diffusione della propaganda integralista nella nostra Nazione.
Fra le conseguenze dei recenti Mondiali del Qatar, vi è il clamoroso riavvicinamento fra tale Stato e l’Arabia Saudita, da sempre acerrimi nemici nella Penisola wahabita: effetto voluto o eterogenesi dei fini?
Nel 2017 l’Arabia Saudita ha lanciato un boicottaggio economico del Qatar accusandolo di fomentare il terrorismo. L’Emirato è il grande protettore e finanziatore nel mondo dei Fratelli Musulmani, ma anche di altri gruppi in Medio Oriente che spesso sono considerati fuorilegge in alcune Nazioni. L’esempio di Ryad è stato seguito da Egitto, Bahrein, Emirati Arabi. Solo un’alleanza “contro natura” con l’Iran sciita e relativo ponte aereo ha permesso al Qatar (dove si importa di tutto, a partire dai generi alimentari) di sopravvivere come Stato. L’Arabia ha anche cercato di far saltare il Mondiale con campagne stampa e denunciando vari scandali legati alla Coppa del mondo e ai 300 miliardi di tangenti pagati, secondo la stampa francese, a membri della Fifa all’epoca di Blatter. Solo nel 2022, per iniziativa di Washington, le controversie tra Doha e Ryad sono state, formalmente, appianate. Il 19 novembre, alla partita inaugurale del Mondiale tra Qatar ed Equador, l’Emiro Al Thani e il principe saudita Mohamad bin Salman erano seduti vicini. Un disgelo che nel giro di poche settimane si è clamorosamente trasformato in un’inedita alleanza. Nel segno del pallone. L’Arabia Saudita vuole i Mondiali del 2030. Primo passo il contratto principesco a Ronaldo che sarà ambasciatore del calcio saudita in campo ma anche a livello mediatico per ottenere quello che ha avuto l’Emiro. Emiro che fornirà il suo non trascurabile supporto all’iniziativa, come dimostra quello che avverrà il 19 di gennaio, quando nella capitale saudita si sfideranno in amichevole Messi e il suo Psg (proprietà qatarina) con una selezione locale capitanata da Ronaldo (proprietà saudita). Il calcio delle star, delle tv e degli affari.
Recentemente hai pubblicato su “Libero” un’analisi secondo cui, visto l’enorme discredito subito dalla sinistra, vi potrebbe essere, a livello di Parlamento Europeo (ma non solo), un “cambio di cavallo” da parte di chi tira i fili. Ci puoi spiegare la tua ipotesi?
Non si tratta di una mia analisi, ma riportavo quella di alcuni osservatori secondo i quali lo scandalo Qatargate, con tangenti ad esponenti della sinistra e supporto equivoco alle Ong filo-immigrazione, potrebbe far perdere fiducia a livello “istituzionale” nei confronti di una sinistra tanto globalista quanto inaffidabile e inconcludente. Rimanendo sempre forti in Europa le pulsioni sovraniste e populiste alimentate dalla forbice crisi economica e incremento dell’immigrazione, quella di sdoganare le destre in cambio di politiche “responsabili” nei termini imposti da Bruxelles potrebbe non essere un’ipotesi da scartare a priori.
Infine, da profondo conoscitore del mondo sportivo (e calcistico in particolare), c’è secondo te qualche possibilità di “redenzione” per il calcio internazionale o ci si dovrà adeguare (e rassegnare) a questo tipo di scenari?
Il calcio si trova su un piano inclinato. Da una parte i costi fuori controllo dei calciatori e società hanno favorito l’arrivo di fondi di investimento e holding internazionali impegnate in un business che ha come scopo quello di creare un prodotto esclusivamente di intrattenimento. Scopo: alimentare politiche di marketing sempre più globali che rischiano di trasformarsi in bolle finanziarie.
Dall’altra, il calcio è sempre più uno strumento di valore politico. I Mondiali del 2018 in Russia, quelli del 2022 in Qatar, la finale di Champions quest’anno a Istanbul, i Mondiali del 2030 (forse) in Arabia, gli Europei del 2032 (probabilmente) in Turchia. Il “dittatore” Putin, L’emiro Al Thani, Il sultano Erdogan, Il principe saudita Bin Salman: ecco i nuovi padroni del pallone. Il calcio mondiale è sempre più un affare di regimi autocratici che hanno bisogno di una vetrina globale per i loro scopi politici e promozionali, travolgendo storie e tradizioni locali o nazionali che sono state la linfa del gioco del pallone da quando è nato.