di Gloria Callarelli

Sull’ipersessualizzazione della società, sul gender, sulla carriera alias e sui pericoli che le mode e le lobby di turno producono nei giovani e nei giovanissimi abbiamo sentito il Porf. Adriano Segatori, psichiatra-psicoterapeuta, membro della sezione scientifica “Psicologia Giuridica e Psichiatria Forense” dell’Accademia Italiana di Scienze Forensi, nonchè dottore di ricerca in Filosofia delle scienze sociali e comunicazione simbolica (Università dell’Insubria – Varese), cultore della materia in Filosofia della politica presso l’Università degli Studi di Trieste.

Prof. buongiorno e grazie per averci concesso l’intervista. Si insiste molto sulla confusione sessuale nel periodo adolescenziale soprattutto per inculcare ideologie perverse. Quanto c’è di vero in questo? 
L’adolescenza è quella fase di transizione che va dall’infanzia all’età adulta, e i limiti cronologici convenzionali la situano tra i 10 e i 18 anni, con addirittura uno scarto fino a 26 anni. È documentato da tutta la letteratura psicologica genericamente intesa – anche se ognuno individualmente non può avere memoria di un processo biologico tanto complesso e indefinibile – dei sommovimenti emotivi che questo processo ha comportato. Dal cambiamento della voce alla comparsa del pelo, dalle modificazioni morfologiche alle tempeste ormonali, è il periodo della metamorfosi fisica e, simultaneamente, della riorganizzazione psichica. Se è vero che tanto la psicoanalisi che le neuroscienze concordano al limite dei 6 anni il tempo di formazione e di strutturazione delle mappe cognitive e di quelle emotive, è altrettanto vero che con la maturazione psico-fisica queste poi vengono rimodellate, riassestate, riposizionate. È confusione tutto ciò? Certamente. Ma mentre un tempo c’erano riti di iniziazione che scandivano i passaggi di trasformazione, oggi tutto è fluido e disarticolato, e quindi un disorientamento che si continua a manifestare con un numero inquietante di patologie, fino all’allarme suicidario. Per quanto riguarda il gender: dall’inizio dell’uomo, pur con modifiche di mentalità e di abitudini, la sessualità ha rispettato le regole di natura, senza le quali non ci sarebbe stato il processo generativo e la specie si sarebbe estinta per (in)naturale sterilità.

Si tengono in molte scuole corsi di affettività e di sessualità, anche alle elementari. Cosa comporta nello sviluppo di un bambino un approccio cosi precoce a questi temi?
La modernità – e peggio ancora questa post-modernità che ha fatte del transumanesimo e dei diritti una teologia laica e perversa – si è inventata l’educazione sessuale. In tempi non sospetti – come si usa dire – quando più di un decennio fa si inventarono dei corsi per l’allattamento, con voluta polemica scrissi una domanda agli organizzatori: “come avranno fatto le madri di Platone, di Alessandro Magno, di Giulio Cesare, di Agamennone, di Dante, di Colombo a far sopravvivere filosofi, condottieri, legislatori, poeti e navigatori?”. Dai tempi protostorici della Mesopotamia all’antica Grecia alla Roma classica, la sessualità è stata sempre declinata in tutte le sue espressioni: omosessualità, prostituzione, concubinaggio ed altre variabili erotiche. Il problema è nato con l’istituzione della “colpa”, che ha degradato l’eros in pornografia. Altra moralità, si dirà, non valutabile con i parametri odierni, ma siamo sicuri che sia eticamente più virtuoso e corretto il progetto educativo di tipo tecnico che si vuole inserire nei programmi scolastici? Questa impostazione è viziata dal tarlo liberista dell’individualismo e del consumismo che volutamente confonde diritti con voglie, pulsioni con desideri.

Pornografia nei giovani: è vero che alla lunga inibisce il desiderio? O provoca disordini di natura sessuale?
Dall’arte erotica di Pompei ed Ercolano, con simboli fallici prerogativa di una apposita divinità, Priapo, al profano esibizionismo del pornoattore superdotato: dall’erotismo sacro alla libidine blasfema. Una trasformazione non indenne per la psiche individuale e collettiva. Una giovane sessuologa belga, Thérèse Hargot, ha scritto un saggio-inchiesta particolarmente interessante sulla mistificata liberazione sessuale dei giovani, introducendo i concetti di <<porno-banalità, porno-conformismo>>. Dove c’era ricerca, curiosità, impaccio, esperimento, imbarazzo, relazione, tutto è stato soffocato nella banalizzazione consumistica e nella meccanizzazione prestazionale. Questa impostazione (dis)educativa e pornografica crea disordini sessuali? Non potrebbe essere diversamente. Un grande psicoanalista francese, Charles Melman, parla di <<libertinaggio di massa>>, che non considera il fatto che <<nessun sistema sociale ha finora funzionato senza prendere in conto la differenza dei sessi [con la conseguenza che] la perversione [è diventata] una norma sociale>>, e i disturbi psichici gravi come psicopatie e psicosi abbondano nelle categorie cliniche.

Una volta l’omosessualità era considerata una malattia. Cosa è cambiato?
L’argomento omosessualità è sempre spinoso nell’affrontarlo e fuorviante nell’inquadrarlo. Storicamente l’omosessualità è dagli anni ’50 al centro del dibattito psichiatrico, e anche piuttosto acceso. La prima derubricazione dal manuale delle malattie mentali risale al 1973, con accese polemiche dovute alla decisione di una votazione e parlando di argomentazioni scientifiche: due dispositivi – voto e scienza – poco o nulla applicabili ad una condizione psicologica. Il distinguo tra ego-sintonica ed ego-distonica decadde definitivamente nel 1990 e, con esso, la sua cancellazione definitiva dalle categorie psicopatologiche. La questione, in sé, è piuttosto semplice: ognuno ha diritto di disporre del proprio corpo e di seguire le proprie inclinazioni, e solo in caso di disagio o disturbo personale può essere considerato malattia. Il problema è un altro e l’omosessualità fa parte di un’operazione fuorviante per distogliere l’attenzione da ben altre operazioni prettamente politiche. Essa è solo una delle varie tattiche di decostruzione della società e della natura come da secoli vengono significate, nonché una strategia lobbistica del potere abbondantemente sovvenzionata da svariate agenzie finanziarie. In più, è l’ennesimo strumento del più ampio e variegato processo di fluidificazione dell’uomo e della sua realtà di appartenenza: dai rapporti interpersonali alla scuola, dal lavoro alla proprietà privata, dalla comunità alla moltitudine. Dall’ibrido al cyborg, è il superamento di ogni limite e l’invasione dell’irrealtà, perché come sottolineano due studiosi di psiche e di scienze sociali, il filosofo e psicoanalista Michel Benasayag, e lo psichiatra dell’infanzia e dell’adolescenza Gérard Schmit: <<Se tutto sembra possibile, allora più niente è reale>>. La polemica LGBTQ è una trappola dialettica gestita da quella compagine radical chic che odia tutto ciò che ordine, equilibrio, armonia. È coordinata con livore dai tenutari e dagli apologeti del Nuovo Ordine Mondiale. L’attacco deve essere organizzato e diretto contro i padroni del progetto; contro i servitori egoisticamente interessati è battaglia frustrante e perdente.

La carriera alias non solo confonde le menti dei piu giovani, ma mette in difficoltà anche gli insegnanti. Quanto può danneggiare questa imposizione ideologica?
E’ una condizione che se non fosse tragicamente pericolosa per la sopravvivenza della società potrebbe rasentare la comicità. Una realtà psicotica in cui – sempre con le parole del citato psicoanalista Melman – <<ciascuno può pubblicamente soddisfare tutte le sue passioni e, quello che più conta, chiedere che esse siano riconosciute, accettate, addirittura legalizzate, ivi compreso il cambiamento di sesso. […] dal momento in cui qualcuno esprime una qualsiasi rivendicazione, ha il legittimo diritto – e la legislazione, se è in difetto, viene rapidamente modificata – di veder soddisfatta la sua rivendicazione>>.

La lotta da condurre contro questa deriva nichilista negativa è senza quartiere. Ogni aspetto dev’essere denunciato e ogni operazione dev’essere combattuta. Anche chi non riconosce il Sacro come valore fondante sa che è importante, almeno, per le leggi della natura e per la difesa dell’umanità.

 

 

 

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