di Diego Fusaro
Si è svolto questa settimana il World Economic Forum, meglio noto forse come forum di Davos. Si tratta in estrema sintesi del periodico raduno dei padroni no border della oligarchia finanziaria neoliberale.
Essi si danno convegno nella città elvetica con un obiettivo molto chiaro e del resto niente affatto nascosto o tacciabile di complottismo: tracciare le traiettorie fondamentali dei loro interessi di classe, dunque stabilire i loro intenti e i loro interessi, concertare il loro progetto e il loro tableau de board. Insomma, una sorta di internazionale dei padroni e delle classi dominanti, che di volta in volta fissano i punti salienti del loro dominio e le conquiste che devono ottenere, ma poi anche i punti da difendere e le strategie da utilizzare per impedire la cosa che in assoluto più temono: la riorganizzazione del conflitto dal basso, la capacità delle classi nazionali-popolari di smettere di essere passive e di subire la globalizzazione neoliberale; non è un mistero che i gruppi dominanti si adoperino in ogni modo per dominare anche mentalmente i gruppi dominati, acciocché questi ultimi, anziché insorgere e battersi per rovesciare l’ordine asimmetrico delle cose, accettino passivamente il dominio subito, proprio come i cavernicoli ottenebrati di cui diceva Platone in riferimento alla caverna caliginosa.
Per questo, gli intellettuali al guinzaglio del ceto dominante svolgono una parte fondamentale e in quanto tali vengono trattati come punti di riferimento ideologico, ricevendo l’invito a partecipare alla corte di Davos. Alla corte di Davos infatti troverete sempre e solo intellettuali di completamento del nuovo ordine mondiale turbocapitalistico. Il loro compito è quello di garantire che i prigionieri dell’antro non vogliano uscire e anzi siano pronti a battersi in difesa delle catene che portano sul loro corpo. L’ipocrisia e l’assurdità del forum di Davos emerge da tanti punti, e voglio qui richiamarne celermente uno tra i tanti: migliaia di jet privati volano a Davos accompagnando i padroni del mondo, che nella città elvetica discutono tra le altre cose di ambiente e di difesa della natura. Una immagine perfetta della situazione paradossale! I responsabili principali delle tragedie ambientali fingono di essere quelli interessati a risolverle! Anche i bambini dovrebbero aver capito che il solo modo per difendere realmente l’ambiente consiste nel cambiare modello di sviluppo, quindi uscire dal capitalismo ed entrare nel socialismo dove anzitutto muta lo sguardo sull’essere, concepito non più come fondo disponibile da utilizzare indistintamente in vista della crescita infinita.
Ma per i padroni di Davos si tratta di utilizzare la crisi ambientale da loro stessi prodotta come nuovo fenomeno di business: fonti rinnovabili di profitto, si potrebbe anche dire. Detto altrimenti, l’ambientalismo neoliberale degli happy few vede nell’ambiente un fattore di business più che un elemento da salvaguardare. Del resto, un cubo rovesciato resta pur sempre un cubo, e analogamente un capitalismo ritinteggiato di verde resta pur sempre un capitalismo, fondato sulla medesima violenza contro l’essente che caratterizza intrinsecamente il modo capitalistico della produzione, come bene hanno mostrato sia pure da punti di vista diversi Marx e Heidegger. Il paradosso sta anche in questo: coloro i quali vogliono almeno a parole curare gli effetti sono gli stessi che coltivano alacremente e con zelo le cause.
Ma non è certo solo questa la contraddizione del forum di Davos o, se preferite, del consenso dei padroni no border della plutocrazia neoliberale che letteralmente comanda il mondo ovviamente in modo tutto fuorché democratico. Per loro i popoli sono superflui e sono soltanto un gregge da tenere a bada, sfruttandolo a dovere ed evitando che abbia consapevolezza della situazione e dunque delle ottime ragioni che avrebbe per ribellarsi. Il loro obiettivo tra l’altro è quello di dettare la linea in modo autocratico e niente affatto democratico ai governi degli stati nazionali, concepiti e trattati alla stregua di maggiordomi che rispondono ai comandi dell’alta finanza e del turbocapitalismo. Sotto questo riguardo, il governo italiano ci insegna molto con il suo squallido grado di subalternità alle politiche neoliberali decise in maniera sovranazionale dai padroni no border. Che ci sia il maggiordomo con la livrea fuxia o che ci sia il maggiordomo con la livrea bluette, il risultato resta sempre lo stesso: la destra e la sinistra come le due ali dell’aquila neoliberale eseguono cadavericamente gli ordini presi dalla plutocrazia neoliberale. Quella che per inciso fissa e decide le proprie linee in consessi come quello di Davos dove naturalmente sono professionisti nello spacciare per interessi dell’umanità tutta i loro cinici interessi di classe. Il capolavoro del potere, ovviamente, sta proprio anche in questo, nell’imporre le mappe del proprio dominio come se fossero tali da garantire il benessere e l’interesse dell’umanità tutta.
Il deserto della critica che registriamo ovunque, non solo nella politica sempre più divenuta continuazione della finanza con altri mezzi, sta anche in questa ovunque registrata incapacità di sottoporre a una sferzante requisitoria Davos e i suoi manichini. Grazie al solerte operato dei padroni del discorso, dei mandarini del potere, dei cani da guardia della finanza, dei monopolisti della parola accade che automaticamente sia oggetto di critica chiunque osi criticare il forum di Davos. Non è forse vero che immancabilmente si è insolentiti con la categoria di complottismo o di cospirazionismo non appena si osi profferir parola contro l’operato dei padroni del blocco oligarchico neoliberale radunati a Davos? Pensate davvero alla situazione paradossale: sono riusciti a far sì che la critica stessa sia interdetta e vissuta come pericolosa, cosicché il potere finisce per riprodursi indisturbato senza che nemmeno più si abbia il coraggio di criticarlo. Una situazione davvero deprimente, per molti versi, che ci segnala come sia più che mai importante oggi ripartire dalla critica radicale, andando al di là delle vecchie categorie e provando a elaborare un nuovo orizzonte del pensiero critico e della emancipazione umana. Perché la verità, sotto gli occhi di tutti o almeno di quelli che non li chiudano, sta anche in questo: il conflitto oggi più che mai si manifesta come scontro tra l’alto e il basso, tra la plutocrazia neoliberale new border e le masse nazionali popolari dei lavoratori e dei ceti medi. Tra le parole dominanti nella neolingua padronale troviamo non per caso il sovranismo e il populismo, due lemmi utilizzati ad hoc per delegittimare integralmente la possibilità che il popolo possa realmente tornare a essere sovrano e dunque padrone della propria storia: ovvio e scontato naturalmente il fatto che, affinché il popolo possa essere sovrano nello Stato, occorre che si riconquisti la sovranità dello Stato.
Per questo motivo, il primo punto da fissare per reagire alla internazionale liberal-finanziaria dei padroni del mondo di Davos consiste nella tematizzazione del recupero della sovranità dello Stato come basi ineludibile per riconquistare la sovranità del popolo nello Stato. E poco importa se questa operazione verrà diffamata dai padroni del discorso con le ormai ubiquitari e categorie di populismo e di sovranismo: ai piani alti i padroni sono demofobi, cioè odiano il popolo e tutto ciò che possa porre in essere una riconquista della sua sovranità nello Stato. Ecco perché oggi è così importante criticare il fenomeno di Davos e i suoi esponenti. Si potrebbe anzi ragionevolmente sostenere che il posizionamento rispetto al Forum di Davos può costituire una delle tante modalità fondamentali per comprendere chi sta dalla nostra parte e chi sta dalla parte del nemico. Restare indifferenti non è possibile, perché l’indifferenza coincide già di fatto con il parteggiare per l’esistente, per il mondo così com’è, dunque per l’ordine dei padroni no border.
Diego Fusaro, faro argentino del Gianicolo