di Gianvito Armenise
Il Catechismo di San Pio X così stabilisce a proposito del Matrimonio: «il Matrimonio é un sacramento, istituito da nostro Signore Gesù Cristo, che stabilisce una santa ed indissolubile unione tra l’uomo e la donna, e dà loro la grazia di amarsi l’un l’altro santamente e di allevare cristianamente i figliuoli. Il Matrimonio fu istituito da Dio stesso nel paradiso terrestre, e nel nuovo Testamento fu elevato da Gesù Cristo alla dignità di sacramento».
Dunque, da ciò derivano alcuni assunti che, per un cattolico, sono pietre miliari e precetti divini. Anzitutto, esso si caratterizza per il suo vincolo permanente tra un uomo ed una donna. Esso è di origine divina ed ha assunto la dignità di Sacramento con l’intervento di NS Gesù Cristo.
Una politica scristianizzata e sempre più incline ad ascoltare le sirene ingannatrici del laicismo, ha ceduto terreno ai nemici della Chiesa anche su questo punto. La bandiera bianca, innalzata sul sacramento del matrimonio, è stata una delle tappe intermedie grazie alla quale, i postulati fabbricati nelle officine libero-muratorie, si sono fatti largo nelle società.
Nel preciso momento in cui la frattura tra Stato e Chiesa si è manifestata in tutta la sua evidenza, era impensabile che gli ordinamenti giuridici potessero continuare a permanere nell’alveo di un concetto, sia pur vago, di matrimonio cattolico. Ed ecco, quindi, che il matrimonio perdendo la sua natura intrinseca di sacramento, si è ridotto ad assolvere la sua semplice funzione di contratto civile.
Ed ecco che il divorzio ha assolto questo compito in maniera cinica. Volendo operare un breve excursus storico della genesi del divorzio in Italia occorrebbe ricordare che, dopo la sacrilega breccia di Porta Pia del 20 settembre 1870, la massoneria italiana del GOI – ringalluzzita per la vittoria – fece presentare in Parlamento al “fratello” Salvatore Morelli, il primo disegno di legge sull’introduzione del divorzio in Italia. Era il 1878 e la proposta non ebbe seguito. Il deputato salentino non si perse d’animo e ritentò nel 1880 con esiti, anche questa volta, negativi. A cavallo tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo sarà un altro celebre affiliato alla massoneria, Giuseppe Zanardelli a farsi promotore di un altro disegno di legge divorzista che, come i precedenti, non superò il vaglio dell’Assemblea. Durante il “ventennio” e grazie ai Patti Lateranensi, ogni tentativo di promulgare una legge sul divorzio non ebbe spazio e si dovette attendere il 1970 con la legge n. 898 per introdurre nel diritto italiano la legge che introduceva il divorzio. Il capo del governo era il democristiano Colombo. Il successivo referendum del 1974, com’è noto, non sortì l’effetto abrogativo della legge. Come per i tentativi precedenti, anche questa proposta di legge vide la firma dei parlamentari massoni Loris Fortuna e Antonio Baslini.
Pertanto, nell’ottica della costante ed apparentemente inarrestabile corsa alla scristianizzazione degli Stati, il divorzio ha assegnato un colpo mortale ad uno dei pilastri del matrimonio cattolico: l’indissolubilità. Non era necessario essere dotati di particolari doti di preveggenza per capire che anche gli altri, successivamente, sarebbero stati travolti dalla stessa furia laicista. Infatti, il dibattito intorno al sesso dei nubendi ha condotto all’introduzione, nei codici civili della stragrande maggioranza degli Stati del mondo, la possibilità di “contrarre matrimonio” anche da parte di coppie omosessuali.
Questo perché la rivoluzione dissolutrice ha una sua logica e coerenza intrinseca. Perversa ma razionale nelle sue conseguenze. Se, infatti, il matrimonio viene degradato da sacramento a contratto civile esso nasce, muore e si modifica per espressa volontà dei contraenti. Quindi, se i contraenti desiderano interrompere la prosecuzione degli effetti contrattuali, nulla e nessuno vieta loro di farlo. Se i contraenti decidono in assoluta libertà di “sposare” civilmente una persona dello stesso sesso, lo Stato – secondo questa fredda e cinica deriva laicista – non può impedirlo postulando il suo divieto su argomentazioni teologiche.
Di questo passo, e non occorre essere profeti di sventura, le porte alla pedofilia, alla poligamia ed alla poliandria sono potenzialmente spalancate.
Infatti, sulla base di quale considerazione giuridica si potrà impedire dinanzi ad un ufficiale dello Stato Civile di “celebrare le nozze” tra sessantenni e dodicenni? Su quale valutazione legale, si potrà impedire di avere più mogli o più mariti? Se gli Stati moderni, complici la deriva modernista nella Chiesa dal Concilio Vaticano Secondo in poi, hanno scelto l’apostasia in campo giuridico, allora a governare le società sarà madama la democrazia con i suoi voti parlamentari. E, poiché il “matrimonio civile” è considerato alla stregua di un semplice contratto, questi futuri scenari non tarderanno ad arrivare. Occorrerà solo attendere che intere generazioni siano completamente imbevute dei “dogmi laicisti” fino al midollo per giungere alla disciplina giuridica di tali fattispecie. Probabilmente, anche in considerazione della spinta immigrazionista di popolazioni musulmane, la poligamia sarà la prossima tappa che, sotto la maschera pretestuosa dell’integrazione, fingerà di accontentare una fetta ormai considerevole di residenti di fede musulmana, per assestare un altro duro colpo a ciò che ormai resta di un lontano ricordo di “matrimonio tradizionale”.
D’altronde, il passepartout per compiere le peggiori nefandezze va sotto il nome di amore. Concetto ormai privo di contenuti definiti e dai confini sempre più labili, vero grimaldello per tentare di assaltare la fortezza della Tradizione.