di Diego Fusaro
Si fa un gran parlare in ogni dove del metaverso. Se ne parla quasi sempre secondo una polarità che poco aiuta in verità a capire l’essenza della cosa.
Per un verso abbiamo il partito maggioritario dei piani alti, ossia dei padroni del discorso e della coscienza, che naturalmente celebrano a tambur battente il metaverso come trionfo della marcia inarrestabile del Progresso. In sostanza, il discorso dei pochi che viene però amplificato ad hoc come discorso dominante celebra senza posa il metaverso come nuova vita, come nuova frontiera dello sviluppo, vuoi anche come superamento delle tradizionali relazioni tra esseri umani in carne e ossa. Vi è poi il partito maggioritario ma senza voce del popolo degli abissi, come mi piace chiamarlo con il titolo del famoso romanzo di Jack London. Il popolo degli abissi è maggioritario ma non ha voce, perché il monopolio dei mezzi di comunicazione e di informazione è saldamente in mano al blocco oligarchico neoliberale, che tutto l’interesse ha nel presentare le proprie mappe come mappe universali di modo che gli ultimi anziché insorgere accettino con ebete euforia il dominio che subiscono quotidianamente sulla propria carne viva.
Il popolo degli abissi è per natura diffidente rispetto a tutto ciò che viene proposto oggi dall’alto come progresso: e ne ha ben donde, se si considera che la massima parte di ciò che oggi viene celebrato come progresso tale è soltanto per i gruppi dominanti, rappresentando invece per il popolo degli abissi un regresso nelle condizioni di vita. Da un certo punto di vista, mi avventuro a sostenere che il tanto deprecato populismo rappresenta in fondo la naturale resistenza che i gruppi dominati ossia il popolo degli abissi fanno alla marcia del Progresso gestita univocamente dalla plutocrazia neoliberale sans frontières. Quest’ultima per sua vocazione è demofobica, cioè tale da disprezzare integralmente il popolo e le sue richieste di salari e di comunità, di tradizione e di legami. Perché la verità è che mentre le classi dominanti provano a imporre la liberalizzazione privatizzatrice del mondo della vita, in basso, nel popolo degli abissi, sopravvivono forme di socialismo della vita quotidiana, se così vogliamo definirlo: relazioni non mercantili come quelle familiari o come il semplice gesto con cui sulla corriera ci si alza per fare posto in maniera disinteressata a chi è più anziano.
Il neoliberismo vorrebbe spazzare via questi vincoli e queste tradizioni che segnano il persistere di un socialismo della vita quotidiana strutturalmente non allineato rispetto alla globalizzazione neoliberale e anzi fecondamente resistente rispetto alla sua pervasività. Evitando gli opposti complementari della demonizzazione a priorita e della celebrazione agiografica, provo in sintesi a spiegare perché il metaverso rappresenta una sciagura più che un’opportunità, una condanna più che una via di emancipazione. Il metaverso potrebbe ingenerare costituire una dissoluzione di queste ultime isole di socialismo della vita quotidiana alle quali facevo cenno poc’anzi in forma impressionistica.
Con il metaverso infatti tendono a sparire definitivamente le relazioni in presenza e il mondo reale con i suoi rapporti reali viene sostituito da una realtà virtuale totalmente amministrata, secondo quello che è stato con buone ragioni definito il “capitalismo della sorveglianza”. Vi è chi ha parlato molto opportunamente di mondo delle “non cose”, cioè di mondo digitalizzato in cui il capitalismo raggiunge la sua fase parossistica di sviluppo, successiva anche a quella della società dello spettacolo messa a suo tempo a tema da Debord. Il metaverso lungi dall’essere una opportunità di sviluppo e di progresso, come superficialmente e in modo non neutro vanno ripetendo i suoi euforici cantori, rappresenta la potenziale distruzione di ogni superstite vincolo relazionale comunitario e tradizionale: segna dunque un passo in avanti nel già avanzato processo di destrutturazione della vita sociale e di atomizzazione integrale del tessuto sociale.
Sopravviverebbe unicamente la relazione consumistica, peraltro in un mondo dematerializzato e fatto di semplici immagini digitali, in cui l’individuo astrattamente è connesso al mondo intero e concretamente è isolato nella propria stanza, quasi come se fosse un hikikomori. Esso coincide con la figura del giovane nipponico che sceglie di fare una secessione dalla realtà, vivendo solo in linea e fuori dalla realtà reale. Cosa resterebbe davvero del socialismo della vita quotidiana in un mondo integralmente digitalizzato in cui a dominare fosse il metaverso? Non sarebbe forse il trionfo inarrestabile di un capitalismo che è riuscito a farsi mondo, a fagocitare tutto e tutti e a imporre la propria logica ubiquitariamente? La soluzione ovviamente non sta nel gesto luddista di chi spacca le macchine. La vera soluzione, tutta da pensare, sta nell’ideare prospettive che possano mettere in crisi questo modello e rigenerare spazi di comune umanità, potenziando quelle che Hegel chiama le radici etiche della vita pubblica e quello che anche possiamo definire ancora una volta socialismo della vita quotidiana. Non si tratta, sia ben chiaro di demonizzare internet e le reti sociali, secondo un atteggiamento dogmatico e per altro poco produttivo in termini pratici. Si tratta, invece, di mettere a fuoco l’essenza contraddittoria di questi processi e di provare a resistere unendo fra loro teoria e prassi, provando a reinventare spazi sociali sottratti alla logica mercantile, potenziando quelli che ancora non sono stati piegati, dalla famiglia agli spazi pubblici condivisi. Se volessimo esprimerci con la sintassi di Martin Heidegger, potremmo dire che accanto a una umanità che è già franata e che pare irredimibile, vi è una umanità non ancora franata che è ben disponibile a resistere e a non capitolare al cospetto di questi processi detti di progresso e che in realtà coincidono sempre più palesemente con la integrale disumanizzazione della vita umana. Di fondamentale importanza è capire che non ogni passo in avanti è necessariamente un progresso: se si è sull’orlo di un precipizio ad esempio la cosa più saggia da fare è fare un passo indietro, per mettere in salvo la vita umana. Credo che questa immagine possa in fondo aiutarci a capire la gravità della situazione, che è grave proprio perché non è compresa nella sua reale essenza, dato che i più continuano a celebrare come Progresso quel fatidico passo in avanti di cui stiamo dicendo.
In conclusione, vorrei ricordare che le reti sociali possono essere con moderazione utilizzate per implementare le comunità e non certo per sostituirle; per potenziare i legami sociali reali e non certo per prendere il loro posto. Ancora, per essere al servizio della vita umana e non per ridurre la vita umana a propaggine della Tecnica e più In generale dei processi capitalistici di valorizzazione del valore che sulla tecnica oggi si fondano.