di Luigi Cortese

Gilberto Trombetta è giornalista ed anti europeista, appassionato di politica economica ed esperto nell’uso delle nuove tecnologie per diffondere le verità scomode e contro corrente.

Trombetta, Lei sabato 11 sarà relatore in un incontro organizzato dall’associazione Verona per la Libertà. Il tema di questo incontro sarà: “Non avrai nulla e sarai felice”, manifestazione contro l’Agenda 2030 propagandata anche da World Economic Forum di Davos. In vista di tale data Le chiedo:

  • La Sua storia parla di un uomo impegnato nel rendere il popolo consapevole sia per la storia che per l’economia. Ricordiamo i suoi interventi nello smontare le bugie sulla questione meridionale per gli investimenti strutturali. Cosa ne pensa della politica economica del Governo Meloni?
    • L’economia e la politica hanno diverse cose in comune: una di queste è che se non ti occupi di loro, saranno loro ad occuparsi di te. Le politiche del Governo Meloni sono in assoluta continuità con quelle del governo Draghi: assoggettamento senza remore al vincolo esterno (UE, NATO, WEF), politiche dal lato dell’offerta (cioè di compressione salariale), tutela delle rendite e dei redditi alti a scapito dei lavoratori. Non dovrebbe essere una sopresa però: sui temi riguardanti vincolo esterno e politica economica tra la sinistra liberista e la destra liberista non ci sono differenze sostanziali. Le uniche differenze riguardano i diritti civili, che però in assenza di diritti sociali sono meri diritti cosmetici.
  • Nei suoi interventi parla di economia cercando di rendere l’argomento comprensibile a tutti e non solo agli addetti lavori. Secondo Lei quanto l’economia oggi subisce l’influsso dei vari centri di potere come il World Economic Forum ed il Bilderberg?
    • La contro-rivoluzione liberista è iniziata sul finire degli anni 70 e si è protratta per tutti gli anni ’80 e ’90. Dopo di che ha vinto: ha infiltrato non solo tutti i Governi (soprattutto Occidentali) ma tutte le istituzioni e i corpi intermedi: partiti, sindacati, istruzione, giustizia, informazione. Non a caso si è parlato (sbagliando ovviamente) di fine della storia. Una deriva da cui aveva messo in guardia già nel 1976 Lelio Basso che nella Carta dei diritti dei popoli (o Carta di Algeri), in cui sanciva internazionalmente il diritto all’autodeterminazione dei popoli contro le ingerenze straniere, puntava il dito sul ruolo delle multinazionali. Ma la storia per fortuna non è finita. Ci sono tantissimi Paesi al mondo che non si sono arresi e non si arrendono a un mondo sottomesso dai grandi capitali transazionali dei fondi di investimento e delle multinazionali. Stiamo assistendo alla nascita di un mondo multipolare. Solo che anche stavolta l’Italia si sta schierando dalla parte sbagliata della storia. Ribellarsi alle pressioni esterne, che siano di Paesi stranieri o delle compagnie che rappresentano i grandi capitali esteri, è possibile. Dipende dalla volontà politica. Come dimostrano moltissimi Paesi in tutto il mondo i cui politici non subiscono meno pressioni di quelli italiani e che eppure si dimostrano capaci di prendere decisioni tutelando i legittimi interessi nazionali.
  • Pochi mesi fa abbiamo assistito al World Economic Forum 2023, come sempre andato in scena a Davos nelle alpi svizzere. Tra gli ospiti c’era il gotha dell’Unione Europea. Cosa pensa di questa partecipazione? E secondo Lei può un gruppo di èlite economica influenzare la politica degli Stati membri?
    • La controrivoluzione (neo)liberista degli anni 80 ha portato con sé una spaventosa deregolamentazione finanziaria e una forte accelerazione della globalizzazione. La libera circolazione di merci, capitali e lavoro è stata la grande vittoria delle élite economico-finanziarie. Una manciata di persone che possiede oggi più della metà della ricchezza globale e che grazie a questo influenza Governi, enti e associazioni. E lo fa attraverso questi consessi sovranazionali che dettano l’agenda nei diversi ambiti della vita pubblica. Ambiti che sono sempre meno di natura squisitamente economica, ma che impattano pesantemente anche su altri settori della vita comune: cultura, istruzione, diritti sociali. Non si limitano a imporre precarizzazione e a trasferire reddito e ricchezza dalle fasce medio-basse a quelle più alte, ma ci impongono stili di vita. Ci dicono cosa dobbiamo fare, come dobbiamo parlare, come ci dobbiamo comportare. Sostanzialmente ci impongono – vorrebbero imporci – cosa dobbiamo pensare. Per questo la lotta per il recupero della sovranità dovrebbe essere, soprattutto per un Paese come l’Italia, la madre di tutte le battaglie. È la condizione necessaria ma non sufficiente per invertire il paradigma economico e politico che negli ultimi 40 anni ci ha riportati indietro di un paio di secoli in termini di diritti dei lavoratori (di tutti i lavoratori) e di ingiustizia sociale. Ma per iniziare questa battaglia è fondamentale la presa di coscienza della situazione attuale, delle sue cause, da parte di una fetta sempre più grande della popolazione.

 

Ringraziamo Gilberto Trombetta per il tempo che ci ha dedicato. Non ci resta che dare appuntamento ai nostri lettori alla manifestazione di sabato 11 marzo a Verona.

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