di Gabriele Manfrè

Il governo Biden, come il governo Trump, tenta di far chiudere la famigerata piattaforma TikTok sotto innumerevoli ricatti.

Washington è preoccupata dal fatto che, come narra una sua dichiarazione, “in Cina nessuna azienda indipendente è veramente indipendente”. Chiaro riferimento al governo del gigante Asiatico. Il timore a stelle e strisce risiede nella possibilità che il governo di Pechino possa in qualche modo raggiungere i dati sensibili dei suoi rivali.

TikTok oramai fa assolutamente parte della quotidianità occidentale, in particolar modo di quella Statunitense: dal 2022 al 2023, si è passati negli States, da 100 milioni di utenti a 150, un incremento considerevole per un social network non autarchico. La piattaforma digitale, oramai, influenza fortemente la vita degli abitanti d’Oltreoceano. Può, ad esempio, tranquillamente far incrementare in pochissimo tempo gli acquisti di un prodotto, come, nello stesso tempo, abbatterne del tutto quelli di un altro. Influenza che spaventò in primis il governo Trump, che, nel 2020, tentò di obbligare TikTok a vendersi ad un’azienda con sede negli U.S.A. (Oracle e Warmet i candidati principali), dicendo di temere che i giovani sarebbero potuti cadere in pericolose “trappole di coniglio” e che il governo asiatico potesse usare la piattaforma per fare propaganda politica. Iniziativa affossata in primo luogo dai media terminali suoi connazionali che inscenarono isterici piagnistei accusatori di xenofobia, ed in secondo, dalla lunga battaglia legale intrapresa dalla dirigenza dell’ app cinese ai danni dell’allora presidente Statunitense.

Tentativo ripescato dal cilindro dall’attuale primo ministro degli Stati Uniti, Joe Biden, pretendendo anch’esso la vendita della società per i medesimi motivi, ma si è spinto anche oltre, vietando l’applicazione nelle apparecchiature aziendali di chi ricopre un ruolo statale e/o amministrativo (es. militari, banchieri, etc.) consentendo ad essi di utilizzare l’app esclusivamente con i propri apparecchi personali.

Il patron di TikTok, Shou Chew, si è espresso una sola volta pubblicamente a riguardo, dichiarando di aver raddoppiato gli impegni già precedentemente dati al suo direttivo aziendale per far fronte alle preoccupazioni dei legislatori di Washington; ha quindi aggiunto che tutti i dati degli utenti degli U.S.A. sono archiviati nell’infrastruttura virtuale Oracle Cloude e che tali dati sono sotto il controllo del personale americano. Ha infine dato risposta alle preoccupazioni legate al governo Cinese, dicendo che se esso utilizzasse la piattaforma per scopi propagandistici, sarebbe dannoso per gli affari, in quanto il 60% dei proprietari della piattaforma sono investitori globali, affermando inoltre che la disinformazione e la propaganda non hanno spazio su TikTok per senso di correttezza morale nei riguardi dei suoi utenti.

La sua amministrazione, inoltre, fa sapere che un cambio di proprietà non cambierebbe la modalità di accesso ai dati degli utenti statunitensi, in quanto non imporrebbe restrizioni nè sulle modalità di accesso nè sul flusso dei dati con le funzioni già in utilizzo, e che se l’obbiettivo è realmente proteggere la sicurezza nazionale non è necessario il cambio, ma il controllo trasparente dei dati e dei sistemi degli utenti nazionali. Inoltre, aggiungono che le suddette modalità di controllo sono già in cantiere da tempo in casa TikTok.

In poche parole, il timore della Casa Bianca risiede nella chiara legge cinese che impone per questioni di sicurezza nazionale, alle aziende che lavorano sotto la sua giurisdizione, una fitta collaborazione con il governo.

TikTok è presente praticamente ovunque tranne, sembrerà paradossale, proprio in Cina. Che invece possiede una piattaforma simile chiamata “ByteDance”, utilizzata in Cina proprio per ciò che spaventa Washington. Ma il motivo principale che ha spinto sia l’amministrazione Trump che quella Biden a voler praticamente obbligare TikTok a vendere le sue azioni, risiede nella fitta collaborazione che esiste proprio tra TikTok e, per l’appunto, ByteDance.

Non sarebbe nè la prima volta, nè probabilmente l’ultima, che TikTok viene vietato in qualche Stato, come ad esempio in India, nazione che nel 2020 fu teatro di un violento scontro al confine con la Cina, vicissitudine che comportò un brusco blocco della piattaforma per i quasi 200 milioni di utenti di TikTok.

Per la prima volta dall’inizio dell’era social, gli U.S.A. si trovano in una potenziale situazione di svantaggio: hanno sempre utilizzato modalità molto simili, se non identiche, per divulgare pensieri, azioni e becere propagande in pura salsa mondialista, Stati satellite compresi. Per la prima volta, la “canna del fucile virtuale” sembra essere indirizzata verso la loro fronte e non hanno il controllo della situazione in mano. Chi di spada ferisce, di spada perisce.

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