di Simone D’Aurelio
Lo scientismo di oggi parte da due pretese: la prima è quella che vede il metodo scientifico come l’unico in grado di fornire un sapere certo e affidabile all’uomo, e che sia anche fondante per lui, mentre il secondo punto, che si aggancia al primo, pretende di vedere nello scientismo la capacità di esautorare il reale, e di spiegarlo solo attraverso questo metodo.
Il mondo del mainstream, e determinati intellettuali, elogiano a tinte unite la scienza intesa in questo senso come l’unica realtà a cui dare credito. Oggi dire che un sapere è di natura “scientifica” è diventato il sinonimo di certezza assoluta in saecula saeculorum, quindi per una grande varietà di motivi funzionali al neoliberismo la scienza sembra un’identità di ordine metafisico in grado di avere anche un grado di stabilità infinito.
La verità non è questa. Chiunque si dedica con onestà intellettuale allo studio della filosofia della scienza, e allo studio della storia del mondo scientifico, si accorge come ciò che oggi è “comprovato” può essere rivisto e discusso. Un ultimo fideismo scientista è stata la mitologizzazione del vaccino quale sinonimo di garanzia assoluta di prevenzione, di immunità da effetti collaterali e di unico metodo di gestione del covid. Ma di esempi al riguardo ne abbiamo moltissimi; anche Newcomb nel 1903 aveva decretato “scientificamente” l’impossibilità di volo per tutto ciò che era più pesante dell’aria, ma proprio nel dicembre 1903 i fratelli Wright volavano a 266 metri con il loro biplano.
Guardando attentamente possiamo sfatare moltissimi paradigmi e tantissime teorie scientifiche che per decenni, o secoli, hanno dominato la scena infrangendosi poi di fronte a importanti problemi e contraddizioni che ne hanno segnato la fine.
Il problema di questo sapere però non è solo nella sua flessibilità e nella sua revisione continua necessaria, ma è anche nel metodo: i limiti del modello scientifico sono evidenti, in quanto le materie ad esso connesse sono legate all’esperimento e al dato empirico, e proprio per questo non possono rispondere a domande esistenziali, di senso, di etica, e di concezione dell’essere umano e dei rapporti, che partono anche dall’esperienza (scientifica e non) per poi sorpassarla. Queste domande anche se le vogliamo ignorare sono fondamentali per la regolazione della società, della legislazione, e sono anche di vitale importanza per rispondere al nostro agire in termini di senso, di realizzazione, e al nostro fare inteso come direzione e orientamento da dare al mondo della tecnica ed al mondo produttivo ed economico.
In tutto questo gli unici saperi possibili sono di ordine teologico, filosofico e metafisico, accompagnati e spalleggiati dalle altre materie umanistiche, che creano il volto e la cultura del popolo. Si può anche pensare di affidare tutto alla psicologia e alla sociologia ma questi saperi non possono rispondere alle domande e alle questioni sopra citate in modo collettivo e in modo stabile, dato che queste arti si concentrano sul soggetto, e non sull’oggetto (sul reale in sé per sé) come fece notare Ratzinger a Ratisbona. Proprio il sapere di ordine scientifico inoltre non può esautorare il reale, infatti abbiamo continui cambiamenti e variabili di natura multipla che non consentono al suddetto metodo di poter fotografare l’universo, l’uomo e ogni ente nella sua totalità e in modo definitivo. Tutto ciò ci riporta quindi a capire bene come inoltre la scienza può vivere solo se è aperta al dibattito, onesta e umile, agganciata quindi all’arte umanistica; tutto il contrario di ciò che abbiamo visto ultimamente. Senza le dovute qualità sviluppate nelle materie classiche non ci sarà mai speranza per il progresso societario e scientifico, diventato sempre più un business.
Un ultima chiosa va fatta però sull’evoluzione del mondo scientifico in sé: esso infatti è proliferato insieme alla tecnica proprio in Europa e in determinati territori. In un mondo che era stato desacralizzato dalla metafisica, infatti, vi è una denuncia implicita nei presupposti del mondo scientifico che è quello che se si accetta la biologia, la chimica, la fisica, la logica, si arriva anche a dichiarare la non divinità della materia. Pena la petizione di principio. Ci si rivolge quindi in modo pratico e latente a una determinata teologia e a una determinata metafisica che denuncia il mondo come contingente. E tutto ciò coincide anche con l’evoluzione storica del progresso scientifico: esso è progredito dove questa legge è stata accettata ed essa è fondante per il suo pensiero, non a caso diverse popolazioni precolombiane erano arretrate in campo tecnico e nella scienza non per problemi di QI (fino a prova contraria) ma a causa di una precisa teleologia che li ha portati a sviluppare in modo approfondito l’astronomia e a mettere da parte il mondo nella sua interezza. Lo stesso possiamo osservare per una buona parte del mondo orientale, dove l’atteggiamento teologico e scientifico ha portato lo sviluppo dell’arte e delle discipline che ritrovano/cercano nell’individuo determinate risorse (si pensi allo yoga o alla riflessologia o a molti aspetti della medicina orientale) e che quindi rimandano a una diversa concezione antropolgica collegata al discorso teologico ed escatologico. L’agnosticismo militante in Europa è la risposta fisiologica a un regresso che non trova sufficienti risposte esistenziali, perché non può darle, e che non è in grado di leggere il reale oltre il materialismo e il consumismo stesso. Reale che però non si spiega adeguatamente in questo mondo (l’ateismo puro della sola materia non è in grado di spiegare la sua trascendenza, lo stesso vale per il panteismo nel rovescio della medaglia, pena la contraddizione che rende tutta la lettura scientifica demagogia): si arriva quindi al declino nichilista, e allo stile di vita scientista non in grado si saziare lo spirito dell’uomo divenuto semplice nomade del dominio neoliberale.