di Simone D’Aurelio

Quanto influisce la concezione del destino finale nelle nostre vite?

L’argomento meta ultima, è molto forte in termini di azioni e di prospettive: è da notare infatti che se l’uomo concepisce la vita in modo esclusivamente materialistico penserà a guardare tutto solo in termini di consumo e da un lato questo atteggiamento sarà giustificato anche in quel darwinismo filosofico violento e crudele. Infatti se la vita finisce qui ed è letteralmente una sola, a questo punto è giusto pensare ai soli piaceri, farsi valere e pensare solo a dominare tutti e tutto. Dato che ogni cosa alla fine è destinata a soccombere a questo punto le azioni trovano uno pseudo-compimento solo in un temporaneo profitto, ed a livello logico, teologico e filosofico nessuno deve rendere conto di qualcosa, tanto tutto finirà nel nulla.

Possiamo pensare seguendo schema che la coscienza, sia un errore di sistema, o una semplice eredità genetica di tipo animale, e che essa non ha nessun richiamo al bene intrinseco di ordine metafisico: la coscienza infatti in questo caso può essere vista come una sovrastruttura come lo sono in questa ottica anche le religioni e l’etica, che in fin dei conti possono essere interpretate come una prassi per la vita civile.

Se invece il destino dell’uomo è di ordine trascendente, ed è quindi collegato alle grandi tradizioni religiose, la persona si ritrova di fronte a delle nostre azioni che non sono fini a sé stesse e solo soggettive: queste allora non sono orientante al solo consumo personale. Inoltre non tutto ciò che viene fatto può essere giustificato dato che l’uomo dovrà rispondere del proprio destino e sarà responsabile delle sue azioni. Il suo riscatto (mai avvenuto in forma terrena) non si compirà qui: il religioso non crede al paradiso sulla terra, e non crede a Marx, ai sogni prometeici. Anzi è conscio dei limiti della situazione  temporale.

La concezione teologica di destino finale non gli fa concepire la terra come l’ultima realtà: e tutto questo però ferma la sua brama di potere, ciò che ha ricevuto infatti è solo qualcosa da  amministrare in modo cosciente e responsabile.

In tutto ciò si scontrano due visioni: la prima materialista che essenzialmente ha bisogno di liberalizzare tutto ciò che la politica impone (che crea a sua volte le esigenze new-age), il cui ostacolo è rappresentato proprio dai confini filosofici, etici, religiosi, sociali e teologici della tradizione, e un’altra visione, legata a quest’ultima, che vede come pericolo il mondo neoliberale.

I moti sono opposti: gli uomini di spirito vedono la terra come mezzo per arrivare al fine, ovvero il cielo; e per riscattarlo non impongono la loro verità personale, bensì si piegano a una Verità che è senza tempo. L’uomo di spirito, come dice S. Paolo, non giudica da sè stesso, piuttosto guarda i rapporti, la vita, l’agire, il bene e il male, in una luce senza tempo che è stata fondamento e  splendore di moltissimi popoli. L’uomo religioso è in rapporto con l’Infinto e con l’Essere, e da esso si fa plasmare, e non impone la sua visione, o la sua morale, come dice l’Apostolo: “Poichè in Lui ci viviamo, ci muoviamo e siamo” (Atti 17,27)

Tutto questo va in contrasto con l’ordine dominante, il quale grida a una presunta superiorità etica pensando di portare a compimento sè stesso tramite il parricidio metafisico: la cultura mainstream porta con se un leitmotiv che decanta come fine ultimo la distruzione di ogni linea oggettiva per arrivare a una nuova parusia, che però non avviene mai del tutto.

Se si guarda attentamente, infatti, anche l’omologia tout court a questo pensiero non porta mai a una meta ultima e ad un riscatto ideologico: abbattuti i tabù di freudiana memoria sono nati altri limiti sui generis. Sono state distrutte regole metafisiche ma sono sorte regole esistenziali soggettive e senza fondamento, in termini etici di costumi, di rapporti umani, e di estetica che hanno solo degradato la società e che pongono ulteriori limiti. Infatti la cultura post-moderna non riesce a fornire una categoria etica, un’escatologia, o una realizzazione rinnovata per il destino dell’uomo. Semmai offre il solo degrado filosofico, esistenziale e culturale. Lo stesso riguarda il riscatto umano: i miti incarnati nei divi del politicamente corretto non sanno come arrivare a illustrare le mete ultime per la felicità dei loro fan, dato che sono diventati solo dei prodotti di merchandising politico ed economico. Oltre a lodare le loro voglie non riescono a rispondere a tutte le restanti domande, alternando la depressione a scatti d’ira, insieme al perenne consumo di droghe, per provare a trascendere il reale in modo fallimentare, presentandosi come icone ridicole per l’uomo moderno in una sorta di tragica teogonia. La visione orizzontale delle prospettive non riesce a saziare l’uomo, e la sua sete di infinito, e se questa viene presa come meta ultima non riesce neanche saziare il suo bisogno di essere, nell’assoluta immanenza.

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