di Ruggiero Capone

Oggi ci chiediamo di continuo cosa sarà dell’Italia; soprattutto perché tutti questi vincoli e compromessi. Rispondere è arduo, e il carteggio Churchill-Mussolini rappresenta ancora uno strumento per decifrare la politica come le sorti di noi italiani. Un carteggio maledetto. E badate bene che sono stati eliminati (o fatti sparire) tutti coloro che hanno maneggiato quel carteggio per cementificare carriere o fare intese con potenze straniere e multinazionali. La verità storica sull’Italia colonia angloamericana si comprende per intero solo studiando quel carteggio, occultato nel 1945, e poi leggendo la parte segreta del Trattato di Parigi del 1947.

Anche lo storico francese Pierre Milza è tornato sul mistero delle ultime ore del Duce e di Claretta Petacci con “Gli ultimi giorni di Mussolini”. Anche Milza ammette che “la morte del Duce avvenne in circostanze non ancora del tutto accertate”. Ma avvenne davvero il 28 aprile 1945 nei pressi di Giulino di Mezzegra a circa venti chilometri da Dongo? A quanto pare quel carteggio era ed è più importante dell’oro. Renzo De Felice parlava di “congiura del silenzio” sul carteggio Churchill-Mussolini: tesa ad occultare prove, lettere e materiale compromettente per gli angloamericani; in quel carteggio anche le prove sugli agenti delle multinazionali britanniche che avevano commissionato l’omicidio Matteotti. Non a caso Peter Tompkins, ex agente segreto americano a Milano durante la guerra, affermava che Mussolini fosse stato ucciso da “agenti segreti inglesi interessati a impossessarsi del famoso carteggio”. Allora perché Bruno Lonati, partigiano comunista nella Brigata Garibaldi, s’accusava d’essere stato l’esecutore materiale dell’omicidio Mussolini e Petacci? Lonati è morto a novantaquattro anni, ma i suoi compagni e vari testimoni sparivano nel nulla tra il ‘45 ed il ‘46, o venivano misteriosamente ritrovati morti. Una lunga scia di sangue accompagna l’uso improvvido di quel carteggio. È certo che, la classe dirigente del Comitato di Liberazione riunita a Milano conoscesse alla perfezione i contenuti del carteggio. Corre anche la leggenda metropolitana che, la parte non consegnata ai russi da Togliatti sia poi stata fornita da Enrico Mattei ai sovietici: forse anche questo gesto avrebbe reso il vertice dell’Eni sgradito ad Usa, Gran Bretagna e multinazionali.

Ma quel carteggio lo conoscevano alla perfezione davvero in pochi? Oltre ai servizi segreti inglesi ed ai fidati collaboratori di Benito Mussolini, ne erano a conoscenza i vertici partigiani rossi (Pci) e bianchi (Dc) riuniti a Milano in quei giorni di gran marasma del 1945. Grazie alla buona parola di Araldo di Crollalanza, lo scrivente ha potuto accompagnare Angelo Nitti e Pino Tosca all’incontro nei primi anni ’80 con Domenico Leccisi: quest’ultimo nell’Aprile del 1946 trafugava la salma del Duce dal Musocco di Milano (noto come Cimitero Maggiore o Monumentale). Secondo Leccisi, che negli anni ’50 aveva favorito in Sicilia l’intesa tra Palmiro Togliatti e Giorgio Almirante, tutti gli accordi nel dopoguerra venivano siglati tra alte personalità politiche che avevano conoscenza certa del carteggio. Soprattutto, nella Milano del 1945 si potevano riconoscere coloro che avrebbero fatto carriera perché a conoscenza del carteggio, quindi distinguerli dai gregari.

La corrispondenza col primo ministro britannico era tra i documenti che Mussolini portava sempre con sé, fino al momento della cattura. Nell’immediato dopoguerra  Churchill e gli 007 inglesi recuperavano gran parte del carteggio, ma non tutte le copie. Una copia veniva portata dai partigiani rossi a Palmiro Togliatti che, cautamente, consegnava all’Unione sovietica solo parte del carteggio: il comportamento di Togliatti non sfuggiva a Peter Tompkins che, citando documenti dell’intelligence Usa, non riusciva a determinare di cosa fossero stati informati i russi. Di certo sappiamo che, il 27 aprile 1945 al momento della cattura, Benito Mussolini aveva con sé due borse piene di documenti: il carteggio veniva visionato dai partigiani della 52esima Brigata Garibaldi. “Circa trecentocinquanta documenti riservatissimi; un milione e settecentomila lire in assegni e centossessanta sterline d’oro”, relazionavano i partigiani. Le cartelle marcate “Mussolini. Segreto” venivano messe in due sacchi di iuta, quindi depositate presso la locale filiale della Cassa di Risparmio delle province Lombarde di Domaso dai partigiani Bill (all’anagrafe Urbano Lazzaro) e Stefano Tunesi.  Ma il 4 maggio 1945 emergeva altra copia del carteggio in mano al medico chirurgo Marcello Petacci (fratello di Clara): anche questa copia finiva in mano al comando partigiano comasco, quindi a Dante Gorreri (segretario della locale Federazione comunista); ben sessantadue lettere, trentuno a firma Churchill e trentuno a firma Mussolini. I partigiani commissionarono anche la fotoriproduzione di tutti i documenti all’impresa “Fototecnica Ballarate”: varie copie, quella sequestrata rimaneva in possesso di Dante Gorreri, mentre una copia veniva consegnata al prefetto Bertinelli. A settembre del 1945 Winston Churchill si recava personalmente sul lago di Como (sotto il falso nome di colonnello Waltham) per ritirare la copia originale del carteggio dalla banca Cariplo ed anche la copia di Dante Gorreri, a cui elargiva la somma di due milioni e mezzo di lire in contanti.

Intanto, la copia del carteggio riposta nella cassaforte della federazione comunista veniva trafugata nel 1946 da tal Luigi Carissimi Priori (ex capo dell’ufficio politico della questura di Como). Carissimi Priori dichiarava nel 1988 al giornalista Roberto Festorazzi di aver consegnato il plico delle sessantadue lettere Churchill-Mussolini al presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, e dopo aver rifiutato l’offerta di centomila sterline dai servizi segreti inglesi. De Gasperi trasferiva l’intero carteggio in una cassetta di sicurezza in Svizzera, in accordo con la legislazione elvetica che affida l’eventuale desecretazione agli organi che gestiscono l’Archivio storico confederale: è evidente che Enrico Mattei potrebbe aver taciuto con De Gasperi sul possesso d’eventuali copie. Nessuno ammetteva chiaramente d’aver letto quelle missive o, peggio, di possederle.

Anche Carissimi Priori dichiarava di aver preso “solo sommariamente visione del carteggio prima di consegnarlo a De Gasperi”. Luciano Garibaldi, autore di “Mussolini e il professore. Vita e diari di Carlo Alberto Biggini”, afferma che una copia dei documenti veniva affidata al professor Carlo Alberto Biggini. Ne desumiamo che Mussolini, non fidandosi di Chiurchill, aveva provveduto ad una fotoriproduzione di documenti e missive in più copie. Biggini, ministro dell’Educazione Nazionale della Repubblica Sociale, portava con sé sia il carteggio in una borsa di “marocchino rosso” che una copia del diario di Mussolini. In quei giorni difficili Biggini si ritirava in convento a Padova: il carteggio in suo possesso spariva dalla scrivania insieme alla cartellina rossa, mentre l’agenda veniva ritrovata nel convento. Biggini morirà misteriosamente il 19 novembre 1945, e corre voce il suo medico ed amico padre Agostino Gemelli fosse attenzionato dai servizi segreti del Vaticano: anche questi ultimi nutrivano interesse sul carteggio. Poi c’è l’ambasciatore giapponese Shinrokuro Hidaka, che non nascondeva d’aver portato in Svizzera copia del carteggio: giurava d’averlo distrutto ignorandone il contenuto, attenendosi così al regolamento diplomatico giapponese; Hidaka è stato l’unico diplomatico e politico giapponese a rimanere in servizio dopo la resa del suo paese. Ma esisteva un’altra copia del carteggio che veniva fatta seppellire da Rachele Mussolini nel giardino di Villa Apraxin di Moltrasio: i partigiani disseppelliranno anche questa borsa, per metterla al sicuro nella cassaforte della caserma dei Vigili del Fuoco di Como. Ma il proprietario di villa Apraxin era l’industriale Guido Donegani, incarcerato per i suoi stretti rapporti con Mussolini: recuperava in maniera rocambolesca la copia nella cassaforte per darla agli inglesi in cambio dell’immunità, e moriva un anno e mezzo dopo inseguito da processi e nemici vari. Intanto l’agente segreto italiano Aristide Tabasso ne faceva ulteriori copie, sia per il Counter Intelligence Corps Usa che per Umberto II di Savoia che lo ricompensava con la nomina a “Commendatore della Corona d’Italia”. Anche l’ufficiale della Guardia nazionale repubblicana Enrico De Toma ne aveva una e la mostrava a Giovanni Guareschi: quest’ultimo carteggio veniva sequestrato e distrutto per ordine della magistratura, che ammoniva De Toma ed incarcerava Guareschi. Così per via giudiziaria è stato proibito uso e possesso del carteggio, vietando che gli italiani sappiano.

Soprattutto quel carteggio rivelerebbe i veri limiti dell’azione politica italiana, gettando più ombre sui liberatori.

Fonte: ilpensieroforte.it

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