di MattPopolo

Il mio non vuole essere un saggio, non voglio citare dati o percentuali, sebbene il precariato in Italia sia diventato una costante in continuo aumento, ma il vuole essere il racconto di una esperienza; il tutto visto dagli occhi di un giovane, sperando che ragazzi e ragazze che come me vivono e lavorano in Italia, e non hanno alcuna intenzione di andarsene, possano rispecchiarcisi.

Tutto inizia già a monte, ai tempi della scuola, quando il capitalismo ti insegna a valutare te stesso in base alle prestazioni monetarie che puoi dare, quando i valori tradizionali vengono considerati roba obsoleta, da buttare, e vengono sostituiti con vuoti disvalori materialistici e retorica senza senso sulla tolleranza ad ogni costo e il finto rispetto per il prossimo. Tu adattati e ti premieranno, tu inizia a pensarla diversamente e ti escluderanno, socialmente, penalizzandoti con i voti e facendoti sentire costantemente sbagliato. Fatti abbindolare da parole come inclusività, gender, droga libera e individualismo feroce. Questo è il bello della società in cui già da ragazzino devi pensarti e vedere il tuo prossimo come merce, non più come uomo. Dopo anni di educazione così fatta, il giovanotto inizia a entrare timidamente nel mondo del lavoro, pieno di aspettative e di desideri: d’altronde il suo influencer preferito su Instagram guadagna milioni, deve essere super facile nel mondo moderno star bene.

La prima occupazione in cui ci si imbatte è di solito uno stage, retribuito al massimo per i più fortunati 600 euro al mese, non retribuito per i meno fortunati. La parola stage l’ho sempre odiata tantissimo: è uno di quegli anglicismi che si usano per mascherare ciò che nella pratica è considerabile come una sfruttamento legalizzato, un po’ come il sistema delle cooperative.

Tu ragazzo sarai sfruttato fino all’osso, maltrattato e non pagato, e devi pure ringraziare perché ti stanno insegnando un lavoro. Alla fine dei sei mesi canonici ne troveranno un altro come te e le prospettive di assunzione che avevano scritto nell’annuncio sognatele pure di notte. I più svegli si iniziano già a porre qualche domanda, ma la maggior parte è ancora abbindolata dalle sciocchezze che gli sono state inculcate: è un periodo, poi guadagnerò tantissimo come mi fanno vedere sui social e in tv, e avrò successo, basta solo dimostrarsi inclusivi e a favore di politiche aziendali pro LGBT.

Le strade che si aprono ora sono le più variegate, c’è chi cambia un lavoro a settimana con contratti a nero o poco più puliti, c’è chi per anni vive mantenuto dai genitori e non riesce a trovare nulla e c’è chi invece inizia a lavorare seriamente, ma nelle maggior parte dei casi, rimane precario.

Parlerò della mia personale esperienza: io sono fortunato sotto molti punti di vista perché lavoro per una delle aziende alimentari con la miglior reputazione in Italia, ma anche in questo caso gli scheletri nell’armadio da nascondere non sono pochi.

Sono precario da 6 anni, ma c’è anche chi lo è da 10, 15, 20 anni. Le assunzioni vengono fatte con il contagocce e mai per merito ma solo per raccomandazione. Chi ti passa davanti non è più bravo di te ma spesso più raccomandato o si è sottomesso di più  e chi comanda spesso non ha esperienza ma è laureato, ovver educato dal sistema ai suoi dogmi. Delazione, infamia e “lecchinaggio” sono all’ordine del giorno. I sindacati in tutto ciò sono più che complici.

Ora cosa può passare nella testa di un ragazzo che si ritrova a fare questa vita per anni? Sotto un ricatto costante, dove se per sbaglio ti ammali e prendi una settimana di mutua o rispondi male in un momento di rabbia verrai lasciato a casa per mesi? Dove non puoi pensare di farti una famiglia ma soltanto sopravvivere sperando in una stabilità che non arriva mai? È chiaro che il risultato di questo sistema è la demolizione dell’individuo in quanto tale, la depressione, l’ansia, il senso di vuoto. Tu che fin dalle elementari sei stato abituato ad identificarti con il tuo lavoro e con quanto guadagni devi abbassare il capo e rinunciare a tutti i tuoi diritti, sottometterti all’azienda completamente e come premio ti farà lavorare, altrimenti starai a casa. Eccoti qui quindi che spendi le tue giornate a colmare quel senso di vuoto immenso che provi acquistando cose che non ti servono su Amazon, guardando serie TV omologate su Netflix e magari usando droghe per evadere dalla realtà. La società ultracapitalista liberal infarcita di salsa radical chic ha fatto di te il perfetto uomo merce, senza valori, senza punti di riferimento, senza ideali, in cui il lavoro è un premio per il tuo comportamento e non un diritto.

È dovere di ogni giovane che ha compreso queste dinamiche e intende liberarsene prendere parte attiva alla lotta per cambiare tutto questo. Una lotta per forza di cose rivoluzionaria, perché è la rivoluzione totale della società che potrà mutare finalmente le cose, non deboli riforme o dubbi interventi monetari. È dovere di ogni giovane che intende vivere diversamente, per sè stesso e per le generazioni future, rifiutare in toto i disvalori che insegna questo sistema e sostituirli con i valori tradizionali quali Dio, Patria e Famiglia. Nella società giusta ogni giovane dovrà avere un lavoro sicuro, stabile e ben pagato, che gli permetta di tirare su famiglia e fare dei figli e poter così avere un futuro, che non sia il sopravvivere sul filo del rasoio, riuscendo a malapena a pagare l’affitto e un nuovo paio di scarpe.

Questo farà lo stato rivoluzionario, questo è dovere di ognuno.

In particolare l’economia italiana è impostata per spingere la denatalità e allo stesso tempo aperta ad accogliere da fuori continente chi lavora a salari da schiavo e accetta di buon grado lo sfruttamento.

Il mio augurio ai ragazzi come me è di riuscire a trovare la forza di ribellarsi, a rifiutare il sistema e intraprendere la strada della Rivoluzione; che lei solamente riuscirà a portare il cambiamento nel nostro paese e in tutta  Europa. Torneremo a poterci sentire finalmente uomini e donne in quanto tali: liberi, forti e guerrieri.

 

 

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