di Luigi Cortese

Ieri 1° maggio è andato in onda il messaggio alla nazione a social unificati della neo Regina d’Italia Giorgia I. Ebbene sì, ormai è uso e costume disertare le desuete conferenze stampe a favore dei social, la comunicazione politica ormai è diventata ad uso e consumo di tutti. Ma dietro a questo slancio social si nasconde uno scopo recondito: quello di evitare qualunque contraddittorio, meglio parlare ai “sudditi” direttamente dalla telecamera di un cellulare che davanti alle telecamere dei media, rischiando di dover rispondere a qualche scomoda domanda sui temi affrontati.

Di certo non è solo un male italiano. Questo purtroppo sta diventando la nuova via di comunicazione preferita dai governanti. Questa situazione richiama molto le antiche monarchie, quando i sovrani parlavano alla nazione e nessuno poteva permettersi di proferir parola.
Questo è iniziato con l’avvento dei 5stelle che hanno dato il via a quello che è oggi diventato uso comune; non partecipavano alle trasmissioni televisive, non rispondevano ai giornalisti ed avevano ordini di scuderia che gestiva la loro comunicazione. Oggi questo lavoro lo fanno gli uffici stampa: decidono chi e quando deve parlare, naturalmente dietro l’abile regia della segreteria nazionale del partito di riferimento.

La politica è sempre stata una cosa seria e i politici non si tiravano indietro davanti ai giornalisti, rispondendo con eleganza anche a domande scomode e, molte volte, tendenziose. Oggi ci ritroviamo una classe politica inesperta, che per anni ha calcato le scene dei palazzi di potere ma non ha mai imparato l’arte della politica. Questo grazie anche all’avvento, con la Seconda repubblica, della politica da salotto, quella fatta da personaggi pubblici prestati alla politica, personaggi che utilizzavano il loro aplomb più che la dialettica e la preparazione. Oggi, anche se al popolo piace la comunicazione diretta, si è messo in mostra l’impreparazione e la paura, perché reggere il colpo delle domande e difendere le proprie scelte è una qualità che non si impara dicendo sempre si al capo politico di turno, ma si impara mettendosi in gioco e credendo fermamente nelle proprie idee.

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