di Simone D’Aurelio
Qual è l’immagine di oggi della donna postmoderna? La domanda seppure insolita è importante per capire cosa sta succedendo al mondo femminile e alla sua icona.
L’assioma attuale su cui si regge la concezione della donna parte attualmente dal dominio dei mercati e produce delle lavoratrici che formano una nuova forza lavoro in un periodo d’oro per il capitalismo, dove anziché pensare alla donna come alterità necessaria di fronte all’uomo sembra che si è creata sempre più competizione tra i due sessi.
La figura che si contrappone al maschile e che nelle differenze è complementare ad essa, oggi è diventata sinonimo del nulla assoluto: essere donna in questo periodo infatti si trasforma in un concetto totalmente privo di senso e di valore che ci lascia per davvero amareggiati. La realtà femminile è attualmente solo uno slogan per la crescita dei consumi e lo possiamo capire respirando lo zeitgeist: dobbiamo notare infatti che attualmente non c’è significato nell’essere donna a livello biologico o sociale, o teleologico; anzi, la sinistra fuxia arcobaleno e gli euroinomani doc, vogliono proprio che il concetto di femminile diventi qualcosa di astratto e di totalmente soggettivo, così liquido che per loro l’essere donna è solo una condizione mentale superata probabilmente anche dal transessuale (colui che sorpassa i limiti biologici e psicologici), e dall’esaltato gender fluid che porta con sé, in parte, il mito di Aristofane.
Sono finiti i tempi dell’amore cortese, e del mondo teologico cristiano (e della tradizione), che vedevano nella donna quella forza così profonda che di fronte all’uomo causava un dualismo infuocato e una devozione signorile reciproca, riportata anche in alcuni testi biblici come lo straordinario Cantico dei Cantici; così come è finita quella concezione del dolce stil novo, che guarda la donna con quella contemplazione intellettuale e teleologica, che la rendeva quasi angelica. Non c’è più nessun romanzo di Shakespeare che esalta il desiderio di quella determinata donna, che è concepita in corpo spirito e mente come la suprema necessità, e non c’è nessun Manzoni che ci fa guardare alla Provvidenza, e alla forza d’animo dei novelli sposi.
Essere donna oggi equivale a un semplice pensiero artificioso, dove la sua realtà biologica viene revocata, ed è indifferente. Anzi: la fisicità è portata a essere commercializzata sotto tutti gli aspetti, partendo dall’utero in affitto, (quindi utilizzata come materiale di produzione), fino all’impiego della donna utilizzata come vetrina vivente, ergo influencer.
Anche i suoi ricordi e la sua vita privata diventano oggetto di lucro perché viene portata a diventare un’utente che genera traffico su Instagram, così come la sua vita intima è monetizzata tramite Onlyfans.
La tautologia su cui si basa l’archetipo modernista (trainato dal paradigma economico), è quello di asfaltare tutte le differenze e rendere l’icona femminile un pezzo di mercato intercambiabile come l’uomo, e anche totalmente inutile. Ma non solo: le asportazioni dei seni in Usa, con le cliniche del cambio del sesso, così come le lotte per gli asterischi e le vocali, inseguono una chimera umiliante e del tutto imbarazzante, perché si sta inseguendo una egalité impossibile da raggiungere.
Questo tipo di uguaglianza artificiale, infatti, è di stampo politico e induce a pensare che nella neutralità e nell’atarassia umanistica ci sia la felicità, ma ci ritroviamo prima di tutto di fronte a un presupposto relativo: infatti queste differenze da limare vengono scelte dagli interessi delle oligarchie, che cambiano obiettivo di volta in volta rendendo sempre più commerciale l’essere donna (e l’essere maschile). L’uomo con i seni giganti che allatta nel murales di Rimini è solo una piccola parte di un processo plurisecolare e infinito, che porta a voler far diventare le due nature delle nomadi senza nessun senso, senza nessun fine. Le operazioni biologiche (parto, concepimento, figli etc.) sotto questa prospettiva verranno commercializzate totalmente.
E’ interessante vedere come i grandi letterati, su ispirazione religiosa, concepivano l’uguaglianza nelle differenze, perché di fronte a Dio si era uguali, con Lui che si faceva mediatore: una sola carne ma due nature diverse, con l’Altissimo che si pone come principio e come ultimo regolatore delle due realtà. Ma è anche il Generatore che causa il riconoscimento reciproco tra i due sessi, è Lui infatti che conduce l’uomo (e la donna) alla conoscenza reciproca nell’Eden. Tolto Dio, e il Suo filone metafisico restano solo concetti artificiosi, e relativi sulle due nature. Non stupisce che la concezione atea, e l’apostasia dilagante del clero vuole livellare anche tutti i ruoli nella Chiesa e fuori.
Ma non c’è solo un discorso commerciale: il sottosuolo politico e culturale non gradisce nessuna donna che si riconosce in un’unità fatta di mente, corpo e spirito. Nessuna entità che possa avere la forza di Giuditta, o l’indipendenza di Sant’Orsola, e la cosa è evidente perché l’esplosione della pornografia, la diffusione incredibile dei feticismi (piedi, mani etc.), ma anche la totale liberalizzazione sessuale, rendono la donna un semplice oggetto abbandonato e umiliato e non una persona vivente.
L’uomo e la società in questo caso si interessano solo alle determinate prestazioni e al determinato piacere che viene offerto da quel dettaglio: ecco perché è scomparsa anche la letteratura e la cultura che in mille modi diversi la riconduceva a un’unità e ad un’unicità fatta di tre livelli. La donna è totalmente scomposta e diventata semplice oggetto.
La persona in sé, kantianamente parlando, nella sua psiche, nei suoi desideri, nella sua profonda natura e nella sua forma metafisica più imperscrutabile, viene esclusa totalmente e lo sarà sempre.