di Luigi Cortese
Dopo 20 anni di potere ininterrotto Erdogan è costretto ad aspettare l’esito dei ballottaggi per poter cantare vittoria alle nuove elezioni presidenziali. Ma il suo rivale, Kemal Kılıçdaroğlu, affida ad un tweet le sue accuse dichiarando: “Vorrei lanciare un appello ai sostenitori della democrazia: non lasciate per nessun motivo i seggi elettorali fino alla consegna dell’ultimo verbale di scrutinio firmato. La piena e corretta manifestazione della volontà della nazione dipende dalla vostra determinazione. Vedrete, la vostra fatica e determinazione verrà premiata”.
Le parole di Kılıçdaroğlu sono chiare: accusa il presidente Erdogan di brogli elettorali chiamando a raccolta il popolo turco nel vigilare sulle operazioni di spoglio. Certo la storia di questo ventennio di potere del “sultano” non è indenne da episodi strani e poco chiari: le accuse di manipolazioni e brogli perpetrati durante il voto sono davvero tante. Persino sul referendum costituzionale del 2017, vinto dal partito Giustizia e Sviluppo di Erdogan, che consegnò nelle mani del capo di stato anche le facoltà dell’esecutivo, sono contornate dalle ombre scure dei brogli elettorali.
Kılıçdaroğlu fino al giorno prima delle elezioni era considerato il vincente della sfida diretta, anche grazie alla ritirata di Muharrem Ince che, secondo i sondaggisti, gli avrebbe così consegnato la vittoria su Erdogan. Quando ha avuto inizio lo spoglio delle schede la situazione è cambiata: Erdogan è partito subito in vantaggio con percentuali superiori al 50% dei voti. Il suo diretto rivale, sempre tramite tweet, ha immediatamente smentito la cosa dicendo di essere in vantaggio.
Le elezioni in Turchia quest’anno hanno un rilievo internazionale maggiore: il Paese sotto la guida di Erdogan è diventato l’unico ad avere un buon rapporto sia con la Russia di Putin che con l’Ucraina, in quanto è stato il fautore dell’accordo sul grano e l’unico a riuscire a far sedere allo stesso tavolo rappresentanti dei due paesi in guerra.
Vista la prima giornata di voto in Turchia, posso affermare che il “sultano” non lascerà il suo trono. Ma non avrà la stessa forza di prima: da queste elezioni ne uscirà ridimensionato e soprattutto con un’opposizione interna molto più forte e apertamente filo occidentale. Chissà se anche i rapporti con l’Europa di Bruxelles cambieranno, portando Erdogan ad accettare la politica liberal-democratica imposta dai Paesi europei? Chissà se questa opzione è stata valutata dai Paesi occidentali e chissà se dietro al rivale di Erdogan non ci sia la nuova strategia a stelle e strisce delle “rivoluzioni colorate”.