di Gloria Callarelli

Promossa dalla Regione Friuli Venezia Giulia e dal Comune, arriva a Trieste la mostra di David La Chapelle “Fulmini”. 92 opere dai mille colori e, per la prima volta, anche 10 immagini in formato extra large dell’artista delle star: a Hollywood, infatti, LaChapelle è praticamente un guru, dopo che Andy Warhol lo ha preso sotto la sua ala e gli ha fatto spiccare il volo. Ed è così che a 60 anni il fotografo ha immortalato ogni cosiddetto “divo” su questo pianeta: da Angelina Jolie a Leonardo DiCaprio, da Benicio del Toro a Marilyn Manson. Il tutto mentre la sua detta “arte” faccia del cosiddetto surrealismo pop un mix tra sacro e profano, tra natura e città, new age e materialismo, stracciando senza limiti tutto quanto appartenga alla cultura cristiana.

E così dall’arte all’arte blasfema è un attimo. Per ritagliarsi uno spazio, nella società edonista e materialista di oggi, del resto, cosa c’è di più facile se non inquinare il Cristianesimo? E così troviamo la già in passato (per conto suo) blasfema cantante Madonna in estasi mistica, Gesù ridotto a “homeboy” hippie, magari sorretto dalle modelle di playboy, in una Pietà che farebbe rabbrividire il maestro Michelangelo… e così via. E poi donne nude, pose sexy per tutti, trionfo del corpo e del materialismo sessuale, ossessione al limite del porno, bambini tra corpi nudi, caproni, filosofia orientale della nuova era sovrimpressa in un tripudio di colori che non cancellano però la grigia realtà di un’arte povera, sì ma di contenuti: nessun valore se non, appunto, tutta la sfilza di prezzi da pagare per poter lavorare a fianco dei vip cari al sistema. E poco importa se mostre di artisti del genere sono aperte a tutti, bambini compresi.

E tra gli altri ticket, quello LGBT. Che il nostro, ovviamente, ha già staccato sorridente: quello è il primo pass, (non quello green ma quello arcobaleno), che apre quasi tutte le porte nella cosiddetta società inclusiva di oggi. E LaChapelle su questo ha fatto registrare anche un primato: fu uno dei primi che promosse, per una campagna pubblicitaria della Diesel, un bacio gay. 

“Sento la responsabilità di portare luce nel mondo e creare immagini che possano elevare e servire l’umanità” aveva detto in un’intervista riportata su Fanpage. Non si capisce ancora bene quale luce. Per quanto riguarda il servire, umanità (umanista) a parte, ricordiamoci che Qualcuno disse: “Non si può servire Dio e mammona”.

Certo è che se LaChapelle fosse nato in un’altra epoca, forse, non avrebbe riscosso il minimo successo, anzi. Con tutta probabilità avrebbe dovuto vedersela anche con la Santa Inquisizione. E invece nell’epoca transumana in cui ci ritroviamo, LaChapelle è un divo. Un divo che è costretto, suo malgrado, a ricercare l’eccesso per godere dei favori di un mondo che non è molto più vero delle figure che è solito modellare. Un eccesso che, ripetiamo, ormai è diventato quasi norma in quel mondo: per cui nulla di nuovo sotto il sole. E anche noi cattolici, alla fine, pur guardando questi scatti pittorici con un senso di nausea, finiamo per provare anche una certa pena. Pena per un odierno che non può che ritorcersi contro sé stesso, che cerca il bello perseguendo il brutto, che confonde il Male con il Bene.

L’uomo odierno è infelice nel profondo, insoddisfatto, distratto, imbevuto di retorica e perfettamente governabile perché divora senza mai essere sazio o critico e diventa obbediente a ogni schema e a ogni piano globalista. Che non riesce a controbattere sul punto la maestà del Divino e che per questo non può far altro che riproporLo, magari dissacrarLo, per riempire un’impotenza e un vuoto di fondo. Finendo per risultare esso stesso caricatura di sé. Una fotografia senza anima destinata, nel tempo, a svanire.

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