di Ruggiero Capone (foto: twitter)

“Esiste davvero questo PNRR? E poi non potrebbe rivelarsi strumento del sistema bancario europeo per aumentare la pressione debitoria sul popolo italiano? Soprattutto a chi vanno questi soldi e come vengono spesi?”: queste le domande ricorrenti tra i cittadini più informati e con una certa sensibilità politica, alla luce degli anomali “tagli di nastri” fatti dai vari sindaci per opere realizzate con soldi di Ue e PNRR.

In troppi si domandano come mai i soldi europei vengano utilizzati soprattutto per piste ciclabili e progetti di “divulgazione gender”, invece di rinnovare le infrastrutture di bonifica idrica che, ben che vada, sono vecchie d’un centinaio d’anni. Utile rammentare che tutte le opere di drenaggio, con invasi e canali, amministrate dalle Regioni italiane tramite i consorzi di bonifica, sono state realizzate tra centocinquanta e cent’anni or sono (in pratica dall’epoca di Cavour fino alle opere di Mussolini). Nel dopoguerra la Democrazia cristiana ha solo gestito, tramite i consorzi di bonifica, un patrimonio infrastrutturale realizzato nei decenni precedenti, prima dal Regno d’Italia e poi dal Regime. Piccolo particolare: alcune cantierizzazioni d’opere di bonifica erano già iniziate nelle zone paludose del Regno di Napoli, dello Stato Pontificio, del Granducato di Toscana, nella Venezia prima dei Dogi e poi degli austriaci, ed a Milano canali e navigli hanno sempre ricevuto l’attenzione dei capitani di città. Ma i Sindaci di oggi, a parte le parate nei “gay pride”, pare valgano nemmeno un’unghia dei capitani di città che nell’Italia rinascimentale guardavano a sicurezza dei centri abitati e benessere dei cittadini. Anzi, nell’Italia dei capitani di ventura sarebbero stati spodestati a furor di popolo: sarebbe stato davvero arduo per Gualtieri e Sala mantenere i governi cittadini.

Ma torniamo al nostro argomento: come si farà a restituire le somme europee se in città come Roma viene negato il diritto al lavoro ed al guadagno? Come faranno sindaci come Roberto Gualtieri a fronteggiare la chiusura di officine e laboratori (poiché ritenute non più a norma Ue) e poi pretendere dai cittadini tasse e balzelli per pagare sanzioni e debiti con l’Europa? Sappiamo che il PNRR è finanziato con 192 miliardi di euro, e l’Italia riceverà dieci rate di contributi di danaro inventato dalla BCE entro fine giugno 2026, ma a patto che rispetti tutte le imposizioni dell’Unione europea: circa 70 miliardi di euro sono sovvenzioni a fondo perduto, e l’Italia non dovrà restituirli; ma gli amministratori locali temono spendere quei soldi, perché hanno paura che ogni infrastruttura (anche la migliore) finisca sotto la lente della magistratura. Allora preferiscono non muovere foglia, e che i fondi tornino intatti a Bruxelles. Invece 122 miliardi di euro sono i prestiti da restituire: l’Italia questi li ha presi, e dal 2028 inizierà a restituirli prosciugando risparmi e patrimoni dei cittadini, per la maggior parte ormai senza un reddito da lavoro.

Nessuna apologia del Fascismo, ma nel 1929, causa la grande depressione che dagli Usa s’abbatteva anche in Europa ed Italia, venivano dimezzati dal governo di Roma gli stanziamenti (eravamo in piena autarchia) per la rinnovata bonifica continua di tutte le zone pianeggianti d’Italia (quindi a rischio alluvionale e di paludi): l’allora ministro Giacomo Acerbo varava il testo unico della bonifica integrale in meno di tre settimane, che diventava legge il 13 febbraio 1933, stanziando 560 milioni dell’epoca che si rivelavano bastevoli per bonificare l’intero Stivale. I consorzi di bonifica hanno continuato con quella legge il miglioramento fondiario fino al 1970, quando con l’arrivo delle Regioni la bonifica diventava roba per presunti ambientalisti locali ed affari clientelari della vecchia Diccì. Chi vi scrive conduceva per Il Borghese di Mario Tedeschi una inchiesta sui consorzi di bonifica sul finire della Prima Repubblica: negli uffici dei consorzi, ormai enti strumentali dell’ente programmatore Regione, il settanta per cento del personale risultava in distacco politico-sindacale a Roma o nelle sedi politiche della Regione di competenza; sul territorio solo una manciata d’acquaioli avventizi e precari, che lavoravano sodo in attesa del contratto a tempo indeterminato, per poi anche loro volare in comodi uffici in distacco “politico-sindacale”. Ed allora chi bada al territorio? Chi fa la bonifica? Soprattutto chi usa i soldi dell’Ue mettendo come garanzia le terga degli italiani?

Ad oggi l’Ue ha finanziato all’Italia 67 miliardi di euro del Pnrr: 24,9 miliardi erogati nell’agosto 2021 con voce di bilancio “prefinanziamento”, ma solo 21 miliardi di euro arrivavano ad aprile 2022 con causale “prima rata”. I 21 effettivi vanno suddivisi in 10 miliardi di euro come “sovvenzioni a fondo perduto” e 11 miliardi di euro come “prestiti” da restituire come da accordi: su ogni rata la Commissione Ue trattiene la “quota di rimborso del prefinanziamento iniziale”. A conti fatti il PNRR è come i soldi per la spesa che la madre da’ al figliolo, raccomandandosi di comprare carne, pasta e verdure controllando bene di non farsi fregare; salvo poi accorgersi che il ragazzotto li ha spesi in bibite, patatine fritte e gelato. Il giovinetto si giustifica col genitore dicendo “guarda che non li ho spesi tutti in fesserie, e ti restituisco gran parte di ciò che mi hai dato”. Resta il fatto oggettivo che, invece di realizzare ed aggiornare le opere di bonifica idraulica, l’Italia abbia preferito spendere quei soldi in “piste ciclabili” e rotonde in sostituzione degli incroci o, peggio, corsi d’aggiornamento alla gestione gender di territori e scuole. Ora il governatore dell’Emilia Romagna, che ha rimandato all’Ue i soldi europei invece di spenderli per invasi e regimentazione delle acque, ha ricevuto dal premier Meloni l’incarico di “commissario per l’alluvione”: un po’ come il ladro d’auto che gestisce per conto delle procure della Repubblica il deposito di veicoli sequestrati e confiscati.

Ora dovremmo tutti chiederci chi pagherà per i disastri idrogeologici, soprattutto chi risponderà all’Ue per soldi spesi male o non utilizzati? Va detto che mandare avanti e indietro soldi da Bruxelles comporta costi tecnici e d’istruttoria, quindi si concreta un danno erariale su cui dovrebbe esserci un parere della competente Corte dei Conti. Per i soldi spesi male, in opere come le ciclabili, costate dieci volte il loro effettivo valore, a pagare siamo noi cittadini. Il disastro comporta sempre risvolto utile al mercato, perché in economia come in chimica nulla si distrugge e tutto si trasforma: oggi il salotto buono della speculazione finanziaria potrà fare spesa in Italia ad un prezzo sempre più basso, e con l’avallo di quei poteri bancari europei che giudicano gli amministratori italiani una torma d’imbecilli in cattiva fede. E non tocchiamo l’argomento magistratura: perché vien da chiedersi cosa faccia il competente “magistrato delle acque”, che dovrebbe istruire l’inchiesta da inviare a procura ordinaria e corte dei conti.

La magistratura delle acque è tradizione che l’Italia ha ereditato dalla Serenissima: anche questa tradizione mandata in vacca come tutte le cose buone. Evidentemente alla gente di oggi basta davvero poco per andare avanti, come un bacetto social della von der Leyen da Ravenna… fosse almeno bona.

Fonte: lapekoranera

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