di Diego Fusaro
Una delle nuove mode della sinistra arcobaleno coincide indubbiamente con la lotta al patriarcato. Non vi è alfiere della cultura lgbt o guerrigliero dell’arcobaleno che non brandisca il gladio della lotta al patriarcato, inteso e combattuto come la principale contraddizione della civiltà merciforme. Insomma, per accreditarsi come buoni e credibili esponenti della sinistra glamour o, se preferite, sinistrash, bisogna di necessità fare propria questa battaglia. Cerchiamo allora di fare brevemente chiarezza su cosa realmente sia l’odierna lotta contro il patriarcato per come viene teorizzato e praticata dal quadrante sinistro dei moschettieri del turbocapitalismo.
Che la società capitalistica si sia fondata anche e non secondariamente sul patriarcato, appare fuor di discussione. Il modello patriarcale funzionava perfettamente come giustificazione del vecchio capitalismo autoritario, ove il padre padrone era l’emblema della potestas e dell’autorità repressiva del vecchio capitalismo borghese. Capitalismo nei cui spazi la figura del padre diventava l’emblema stesso della legge nella sua forma più radicale, così come si incarnava nella famiglia ma poi anche nelle esperienze totalitarie novecentesche, tutte caratterizzate dalla presenza di un padre autoritario che governava il popolo come una grande famiglia. Occorre tuttavia rilevare che questo modello capitalistico non esiste più nell’Occidente europeo da almeno cinquant’anni, segnatamente da quando ha preso forma la nuova civiltà deregolamentata dei consumi e del godimento così come si è venuta forgiando a partire dal ’68. Come rilevò in presa diretta Pier Paolo Pasolini, si produceva in tal guisa il transito dalla società dei sudditi sottomessi alla società dei consumatori euforici e trasgressivi. Il capitalismo in fase di assolutizzazione superava gli stessi fondamenti su cui si era precedentemente istituito, tra i quali l’autorità della legge, la figura del padre e la famiglia stessa. I motti sessantotteschi ne svelano ampiamente l’essenza: vietato vietare, godiamo illimitatamente, tutto senza limiti, la fantasia al potere, e molti altri ancora. Si tratta di formule che apparentemente paiono propiziare un movimento critico e liberatorio, ma che in realtà, come non è difficile mettere in evidenza, producono la modernizzazione del capitalismo in atto fin dagli anni sessanta: quando cioè il capitalismo stesso transitava dalla sua base autoritaria borghese alla nuova fase speculativa del consumismo radicale post autoritario e post familiare. Per questo, le battaglie dei sessantottardi venivano a coincidere con la battaglia stessa che il capitalismo stava conducendo contro la vecchia cultura borghese del padre, non certo per produrre una società libera ed emancipata, ma al contrario per favorire il transito a un capitalismo ancora più repressivo e totalitario. Per questo, l’odierna lotta contro il patriarcato non è indubbiamente una lotta contro il capitalismo oggi imperante, che da tempo ha già superato il patriarcato e si fonda semmai sulla dissoluzione della famiglia e sulla individualizzazione relativistica e consumistica della società ridotta a pulviscolo piatto di unisex e senza famiglia, sradicati e perennemente condannati all’erranza secondo le logiche illogiche del mercato. Per questa ragione, mi spingo a dire che la lotta della sinistra arcobaleno contro il patriarcato non è semplicemente un colpevole ritardo, una lotta contro un nemico già da tempo sepolto, il patriarcato appunto.
È, invece, l’ennesimo caso di lotta che finisce per coincidere con la lotta stessa che il capitalismo fa contro tutto ciò che ancora gli opponga resistenza, o più precisamente opponga resistenza alla sua dinamica di mercificazione integrale del reale e del simbolico. Ecco perché nelle pratiche e nel discorso delle sinistre neoliberali organizzate sotto il segno dell’arcobaleno la lotta al patriarcato coincide in tutto e per tutto con la lotta contro la famiglia e più in generale contro la figura del padre, liquidata come necessariamente autoritaria e repressiva. Non deve sfuggire a questo proposito che il capitalismo liquido e finanziario della civiltà dei consumi non ha bisogno della famiglia, del padre e della madre e deve anzi liquidarli affinché resti soltanto la figura del consumatore unisex sradicato: la lotta contro il patriarcato finisce dunque per legittimare questo nuovo modello alienato di società non socievole, costruita sulla individualizzazione post da familiare integrale per consumatori sradicati e in grado di relazionarsi tra loro soltanto secondo la algida logica del do ut des.
Ecco perché, una volta di più, le sinistre dell’arcobaleno finiscono per essere semplicemente le guardie fucsia del nesso di forza capitalistico egemonico, svolgendo la parte che è propria degli utili idioti del potere, che credono di combattere contro il dominio che invece con le loro pratiche e i loro discorsi inconsapevolmente contribuiscono a rinsaldare. In effetti, l’odierna lotta contro il patriarcato non dice nient’altro se non la lotta che il capitalismo sta conducendo contro quel che resta della famiglia e della figura del padre, affinché vengano per sempre spazzate via e in loro luogo sussista unicamente la prosa reificante degli atomi allineati e sciolti da ogni relazione solida e solidale.