di Niccolò Ruscelli

Migliaia gli arresti in Francia in pochi giorni a seguito dell’uccisione del 17enne Nahel a Nanterre martedì da parte di un poliziotto durante un controllo stradale e il conseguente scoppio di una rivolta di una parte della nazione. L’omicidio di Nahel mostra ancora una volta la realtà della sostituzione etnica e il fallimento del melting pot in Europa. Sì perchè chi mette a ferro e fuoco la Francia ha passaporto francese ma il Paese è così diviso culturalmente, che nei momenti di crisi svela al mondo la sua fragilità. I musulmani hanno inventato l’ “Islam Liberale”, (che sarebbe considerata eresia nei loro rispettivi paesi d’origine) ma un’alta percentuale di africani ha fatto sua la peggiore cultura di strada: non hanno nessun legame spirituale con la terra in cui vivono e questo crea non solo un distaccamento ma anche un odio verso quella stessa terra. Non parliamo nemmeno più di multiculturalismo ma di multietnicismo.

In tutto questo disastro, spicca la figura sempre più logora del presidente Macron, che come sappiamo è sotto indagini per i suoi movimenti economici “fuori dalle righe”. Tre sono i giudici di istruzione incaricati dell’inchiesta: tra i quali Serge Tournaire, noto per avere indagato sull’ex premier François Fillon e sugli impieghi fittizi di sua moglie Penelope (scandalo che era costato a Fillon l’Eliseo), e per l’inchiesta sull’ex presidente Nicola Sarkozy protagonista del caso Bygmalion.
Macron è protetto dall’immunità fino alla fine del suo mandato (2027).

Le nuove indagini lo mettono comunque in imbarazzo dal punto di vista politico perché già nella primavera scorsa, alla vigilia del voto presidenziale, aveva dovuto smentire qualsiasi favoritismo nei confronti di McKinsey, società di consulenza americana, ricordando che il governo era soggetto alle «regole degli appalti pubblici». Ciò nonostante l’inchiesta si è allargata, a partire dal fatto che i contratti tra lo Stato francese e le società di consulenza sono più che raddoppiati tra il 2018 e il 2021, raggiungendo la cifra di un miliardo di euro lo scorso anno. Tra queste proprio McKinsey, che non ha pagato alcuna imposta sulle società in Francia tra il 2011 e il 2020, nonostante un fatturato stimato in 329 milioni di euro nel 2020 in Francia.

Nel marzo 2022 il giornale d’inchiesta Mediapart ha raccontato come McKinsey avesse sostenuto Emmanuel Macron già da ministro dell’Economia, ancor prima che si dichiarasse candidato alle elezioni presidenziali del 2017. McKinsey potrebbe avere offerto i suoi servizi pro bono, in modo gratuito e senza contratto, a Macron, in vista di guadagni futuri nel caso fosse in effetti riuscito a conquistare l’Eliseo? Alcuni membri di McKinsey hanno partecipato al lancio del movimento En Marche!, base del futuro partito presidenziale oggi ribattezzato Renaissance. E sempre nel marzo scorso un rapporto del Senato ha denunciato gli eccessi del ricorso alle società di consulenza esterne, citando, tra i contratti più controversi, quello tra McKinsey e il ministero dell’Istruzione per la fornitura di un «rapporto sull’evoluzione del mestiere di insegnante», pagato mezzo milione di euro.

La società McKinsey poi è intervenuta nella gestione della crisi del Covid e il presidente della regione Hauts-de-France, Xavier Bertrand, ha ipotizzato mesi fa «un trattamento di favore nei confronti di McKinsey rispetto ad altre società di consulenza», alludendo a una sorta di ricompensa per il ruolo dei suoi uomini nelle campagne elettorali di Macron. Il presidente in quell’occasione si era difeso con forza: «Si dà l’impressione che esistano combine, ma è falso».
Un’inchiesta di Le Monde ha documentato i legami tra McKinsey e Macron: in particolare avrebbero partecipato in modo informale alla campagna elettorale del 2017 Karim Tadjeddine, responsabile del «settore pubblico» del gruppo, Eric Hazan del settore digitale e Guillaume de Ranieri (spazio e difesa). Dopo la vittoria di Macron, la consulente Ariane Komorn ha lasciato McKinsey per un ruolo nel partito presidenziale, mentre un altro consulente, Mathieu Maucort (McKinsey dal 2013 al 2016) è stato poi vicecapo gabinetto del segretario di Stato per il digitale Mounir Mahjoubi. Le indagini vogliono appurare se i legami tra McKinsey e Macron e il suo entourage siano leciti o meno. Salito al potere i suoi messaggi sono stati chiari: «Dobbiamo costruire un nuovo ordine mondiale per il Ventunesimo secolo, basato sul multilateralismo». È la sfida che il presidente francese Macron ha lanciato agli Stati Uniti, con il discorso tenuto al Congresso davanti alle camere riunite. Ha detto che ci troviamo davanti a due strade: il nazionalismo, e la collaborazione. Il primo, secondo lui, «è una illusione», mentre restare aperti al mondo è l’unica soluzione possibile.

Accordi netti con gli americani, forse a discapito netto della propria cultura nazionale, mettendo a rischio la propria nazione. Una nazione che si risveglia, con cadenza frequente, in protesta. Ma se pensiamo che i suoi primi passi il presidente francese li ha mossi con Rotschild e nella scuola schwabiana del Forum di Davos, l’arcano sulla guida politica firmata Macron pare essere definitivamente spiegato.

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