di Luigi Cortese

Sembra di tornare sulle montagne di Tora Bora, nell’Afghanistan orientale, quando vedevamo cadere le bombe a grappolo sulle postazioni di Al Qaeda. Si tratta della guerra contro Bin Laden, quando gli americani lanciarono quella che chiamarono Daisy Cutter (la taglia-margherite): si trattava di un cilindro di quasi 7.000 chili lanciato ad alta quota con un paracadute che si apre a qualche centinaio di metri dal suolo, rallenta la corsa e quindi esplode nel cielo per intensificare l’effetto devastante della pioggia di migliaia di bombe minori. L’effetto di questa arma è devastante in quanto non tutte le bombe rilasciate dal cilindro esplodono, ma molte di loro restano inesplose andando ad “inquinare” il territorio, creando nel tempo un grosso pericolo anche per i civili inermi che si può protrarre per anni.

A maggio 2008 si è arrivato a Dublino alla firma della convenzione on Cluster Munitions, che puntava a bandire totalmente tale arma. Alla convenzione hanno aderito circa 120 paesi, ma non gli Stati Uniti, la Russia e l’Ucraina. Per questo motivo oggi Washington ha deciso ancora una volta di utilizzare un ordigno potenzialmente pericoloso, che ancora oggi in Cecenia, Afghanistan ed altri Paesi dove è stato usato dopo decenni miete vittime.

La decisone folle di Biden viene giustificata da Jake Sullivan, il consigliere per la Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, con la scusa che gli ordigni americani hanno un “tasso di insuccesso” pari al 2,5% e che quindi le bombe inesplose sarebbero pochissime. Ancora una volta i governi degli Stati Uniti fanno retorica, anche sui morti della guerra.

Il conflitto Russo-Ucraino è ormai sempre più chiaramente una guerra per procura: gli Stati Uniti utilizzano Zelensky per combattere quel conflitto che cercano da anni e per farlo non si fanno scrupoli a fornire anche armamenti universalmente riconosciuti come armi di distruzione di massa.

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