di Simone D’Aurelio

In pochi sanno, o sospettano, che tutto il nostro pensare e il nostro modo di vivere la vita è condizionato in maniera negativa dall’illuminismo.

Il secolo dei superbi e saccenti uomini della “ragione” oggi è il leitmotiv su cui ci muoviamo e su cui si basa il nostro agire e il nostro modo di ricercare la felicità. Possiamo dire che c’è una profonda connessione tra la nostra cultura radicata nei secoli dai filosofi illuministi e l’azione che ne consegue, proprio per questo chi guarda a fondo la vita contemporanea vede che la vittoria del commercio tout court, il trionfo della tecnica e dell’egoismo sono collegati a Kant e soci. Il secolo dei “lumi”, ha voluto infatti spegnere e distruggere tutta la filosofia classica, ignorando la scolastica, le domande sull’essere, l’ontologia moderna, tutta la filosofia ellenica e tutta quella ricerca filosofica che nei suoi principi era una ricerca sul vero, e sul reale tentando di dare risposte razionali sul mondo e sull’uomo.

Se tutto questo può sembrare assurdo, basta guardare la vita contemporanea e osservare che le linee che ci hanno portato a questa digressione (o involuzione), vengono proprio dalla Critica kantiana e da tutti i personaggi che ruotano intorno alle sue note. Il professore tedesco infatti, avendo una conoscenza molto ristretta della metafisica, arriva a decretare che tutti i nostri ragionamenti devono essere circoscritti all’interno del fenomeno, ma il fenomeno in sé per sé senza l’aggancio con il noumeno, non riesce ad avere una sua stabilità annegando poi nel mare del relativismo e del nichilismo, come ha dimostrato la storia della filosofia. Al di là della sterile Ragion pratica che cerca di conciliare la teologia, l’etica e i fini dell’uomo, possiamo dire che il mondo moderno col capitalismo rampante e con l’esaltazione della tecnica non ha fatto altro che applicare l’assioma Kantiano come base filosofica e teologica arrivando a creare un mondo che predica di potersi realizzare e salvare solo tramite dei risultati di tipo quantificabile all’interno del fenomeno. E’ inutile parlare di tutte le obiezioni (giuste) mosse da grandi filosofi come Bonaiuti, Gilson, Tresmontant, Livi,Di Vona,Kalinowski e moltissimi altri che mostrano i limiti di quella critica kantiana che fa acqua da tutte le parti in termini filosofici, logici, e teologici.

Il mondo moderno partendo proprio dagli errori (ed orrori) kantiani, arriva a imporre un modello di vita che non guarda più al senso della vita, non pensa più alla verità, al bene o al male, abbandona totalmente il discorso dei trascendenti, e instaura un modo di concepire le cose solo in termini immediati, pragmatici e tecnici. La dimostrazione sta nel fatto che dopo Kant, distrutto il noumeno, si è concepita l’umanità solo in termini materiali (marxismo) o in termini tecnici (positivismo), o in termini economici (capitalismo), e il mondo moderno che lentamente continua la parabola negativa, oggi per arrivare ad avere dei sudditi perfetti sta annullando anche il fenomeno (woke-cancel culture e mondo dei radical chic), ritenuto ormai un peso per la finanza e per l’amministrazione politica, ma è anche la deriva naturale di ciò che senza una fondamento stabile era annegato nell’involuzione filosofica e nel soggettivismo, diventato oggi solipsismo. Il fenomeno, salvato da Kant, oggi è solo flatus vocis, e dopo secoli di insuccessi e di vane promesse (illuministiche in primis) di ancorare il fenomeno a sé stesso, e di un vago e inconcludente teismo, si è arrivati a vedere che la base fenomenologica non può rendere conto di sé stessa.

A poco valgono i ragionamenti Kantiani che dicono di trattare il prossimo come fine e non come mezzo, quando gli stessi fini “ultimi” e “primi” che caratterizzano il nostro agire e la vita sociale e politica dell’uomo sono ancorati alla metafisica (come ha dimostrato un grande Dostoevskij, arrivando a mettere sotto scacco il nichilismo e l’amata fenomenologia post-kantiana). A poco vale la ricerca di coerenza, di convivenza e di etica Kantiana, se non vi sono i principi logici, ontologici filosofici che ne possono scaturire la validità intrinseca (come ha dimostrato Kolakowsi) che rimanda invece ai problemi di ordine teologico e metafisico. Da Kant in poi, l’uomo non guarda al mondo pensando che esso ha qualcosa da trasmettere, e non guarda a tutto ciò che “radicalmente altro” rispetto a lui, semplicemente mettendosi al centro del mondo si pone sempre e solo un’unica domanda: come posso piegare questa / quella cosa per realizzarmi?

La mente per Kant, diventa un centralina che piega il reale e che da forma a tutto, escludendo il ruolo di ciò che interagisce con la nostra razionalità, e si arriva così di corsa all’utilitarismo, ma anche alla concezione astratta dell’uomo, della vita e della sua realizzazione, che da forme metafisiche che diventavano poi pratiche si arriva a vie esclusivamente pratiche ma sterili e controproducenti. Il risultato in sé per sé non riesce a dire tutto dell’uomo, così come il mondo fenomenico non riesce a saziarci (pensiamo a Maslow, che dopo i bisogni primari spinge verso l’essere in termini psicoogici), analogamente in filosofia dobbiamo riconoscere che senza metafisica non si riesce a costruire un fondamento valido per i nostri ragionamenti speculativi, sia a livello teorico, che a livello pratico.

Le guerre mondiali, il genocidio della Vandea, il periodo del Terrore, l’avvento della vittoria delle oligarchie, è la dimostrazione che le promesse illuministiche, che rinunciano al passato e guardano solo al futuro, sono un’utopia. Quello che resta per ripartire e uscire fuori dal postmoderno è proprio rigettare l’assioma kantiano per ritrovare le basi solide della filosofia classica, che sono in grado di ridare forma e sostanza al reale, all’uomo, alla politica e alle sue vie per realizzarsi interiormente.

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