di Redazione (foto: Studio preparatorio Mario Sironi – L’Italia tra le arti e le scienze)
Abbiamo rinvenuto di recente, nel nostro archivio, un interessante scritto di Piero Vassallo che, poco prima di morire, alla luce degli eventi post Covid, ripropone una lettura straordinaria dell’altrettanto profondo pensiero di Giambattista Vico. Buona lettura.
In questa fase storica che vede apparentemente trionfare ai massimi gradi l’azione omologatrice del mondialismo globalista, è indubbiamente necessario – unitamente all’azione ribelle dei singoli e delle comunità – ridisegnare una consapevole concezione nazionale. In questa direzione, la cultura viva italiana, che alla nostra tradizione voglia senza falsi pudori collegarsi, non può che attingere alla fonte napoletana di quel fermo “restauratore della dottrina politica cristiana” (1) che fu Giambattista Vico.
Da più parti si parla, più che giustamente, di dittatura e di tirannide sanitaria e tecnocratica e lo schieramento nemico non è mai sembrato così forte e inattaccabile come adesso, essendo riuscito ad addomesticare masse oggi più che mai incapaci di discernimento.
Come potrebbe soccorrerci, dunque, una provvidenziale filosofia della storia faticosamente elaborata ben tre secoli fa?
In primo luogo con lo stesso insegnamento che vuole si guardi alla storia come scienza e alle sue fasi, mai del tutto identiche eppure niente affatto nuove; in secondo luogo non dimenticando che l’azione provvidenziale di Dio non cessa mai di essere presente proprio nella storia e che, pur non risiedendo in esso il senso della storia, anche “l’asservimento non è senza senso (2)”.
Ed è questa seconda questione – strettamente legata alla prima perché è la storia come scienza che vichianamente ne fornisce la dimostrazione – che ci motiva all’impegno, allontanando tentazioni, pur comprensibili, di rassegnata quiete in accettazione della sconfitta perché: “Non esiste una società tanto profana e corrotta da giustificare la disperazione e la fuga dalla responsabilità sociale” (3), nella politica come nell’elaborazione critica, nell’azione come nel pensiero.
Seguendo fedelmente l’impostazione agostiniana, Vico afferma che la provvidenza “… della ferocia, dell’avarizia, dell’ambizione, che sono gli tre vizi che portano a travverso tutto il gener umano, ne fa la milizia, la mercatanzia e la corte, e sì la fortezza, l’opulenza e la sapienza delle repubbliche …” (4); nota Vassallo: “Se fosse lecito esprimersi in questo modo si potrebbe dire che, per Vico, Dio consente che l’uomo tracci un discorso storico intessuto di devianze, perché la sua onnipotenza può riordinarlo e ricondurlo al suo debito fine” (5).
Ma sbaglierebbe chi credesse si stia trattando solo di affidamento inattivo o, peggio, di calcolo strategico-utilitaristico in nome del quieto vivere, tutt’altro: questo Dio, la cui azione si legge nella storia attraverso le manifestazioni della provvidenza, chiama gli uomini alla collaborazione attiva non certo alla chiusura in se stessi o, addirittura, alla passiva accettazione di ogni follia del potere.
E si parla di uomini, non certo di plebi.
In particolare, quest’ultimo aspetto del pensiero del Napoletano occupò una parte importante dell’analisi che Nino Tripodi, allora esponente della Scuola di Mistica Fascista, dedicò all’opera di Vico nell’ambito dei testi di dottrina voluti dalla Scuola milanese (6).
Vico e il Fascismo si incontrano, rilevò un giovane Tripodi, “… non per occasione di coincidenze accidentali, ma per virtù di uno stesso cammino percorso nei secoli dal costante spirito della civiltà italiana (7)” e tracciano “insieme” le linee essenziali di un modello di Stato che ha la capacità di indicare, facendosi programma proprio in tempi di tirannide quali sono quelli che viviamo, quale potrebbe e dovrebbe essere la sua sana natura, che non può non essere che viva e nel contempo tradizionale: “… uno Stato che ha in terra tutti gli attributi che Dio ha nell’universo, senza però disconoscere lo spirito dell’uomo parimenti creato da Dio a sua somiglianza”, uno Stato in cui “l’uomo trova […] l’organizzazione storica che gli consente di realizzare quei princìpi morali conferitigli dalla divinità, e con ciò di assolvere alla sua trascendente funzione di uomo”, uno Stato “che ha una sua consapevolezza e una sua volontà, ma che esige, più che permette, una libertà morale dei cittadini, dai quali perciò reclama una piena responsabilità politica… (8) “.
Nulla di più distante dai modelli liberali, democratici e socialisti che la tirannide sanitaria ha alchemicamente sintetizzato e inoculato in molti, e non certo per degenerazioni imprevedibili e accidentali o a causa di tradimenti o smemoratezze costituzionali, nell’esperimento di ingegneria sociale in corso quale summa perversa di quelle astratte elucubrazioni nemiche di Dio e dell’uomo che da Cartesio a Lenin, passando per Lutero, Spinoza, Kant, Voltaire, Rousseau, Robespierre ed Hegel, per citare i più noti, tanto male hanno arrecato e arrecano agli uomini e alle società, poiché, proprio in nome della libertà e di un dio ad immagine e somiglianza dell’uomo quando non apertamente negato, privano l’uomo della sua essenza e, con essa, delle libertà secondo natura.
E non è certo casuale che alla negazione delle umane libertà, professata dall’individualismo razionalista in tutte le sue forme, corrisponda oggi il totale occultamento di Dio, la negazione de facto – con la complicità attiva delle massime, illuminate gerarchie ecclesiastiche – dei Suoi diritti pubblici e, in teologia, della Sua onnipotenza, negando così nello stesso tempo l’esperienza delle cose umane e la ragione delle divine. Così come casuale non è la provenienza non mediterranea di eresiarchi, immanentisti e razionalisti vari, tutti troppo lontani da Roma e, con essa, dalla autentica civiltà.
Ammoniva il Napoletano che con l’eliminazione di qualunque riferimento ad “un superiore ed immutabile principio, il ‘fatto’ storico, e con esso la logica del più forte, diventava inappellabile (9)”, così facendo – e, è bene ribadirlo, la cosa è molto più grave se questa elisione avviene de facto per azione della stessa gerarchia ecclesiastica, cosa che neanche Vico avrebbe potuto prevedere – si opera per cancellare la fede in un Dio che agisce provvidenzialmente anche permettendo le pestilenze, altro che Covid, e non mancava di precisare che “… perdendosi la religione ne’ popoli, nulla resta loro per vivere in società; né scudo per difendersi, né mezzo per consigliarsi, né pianta dov’essi reggano, né forma per la qual essi sien affatto nel mondo (10)“.
Opera disarmante, quest’ultima, indispensabile per chi volesse sottomettere per mezzo del terrore di una morte tutta laica e corporale tutti i popoli del pianeta, azione perversa che mai sarebbe stata possibile con tale facilità se non l’avessero preceduta e preparata secoli di colpevole falsificazione della storia e altrettanto colpevole destrutturazione della logica.
Ma, fedele a Sant’Agostino, Vico dà ragione anche della tirannide più crudele nella storia (“… i sagrifizii di Moloc appresso i fenici, i quali passavano per mezzo alle fiamme i bambini consegnati a quella falsa divinità […] così l’infelice voto e sagrifizio che fece Agamennone della pia figliuola Ifigenia…” (11) ) e ne attribuisce l’origine non “all’impostura altrui” ma alla “propria [oggi nostra] credulità” (12) richiamandoci decisamente ad una lotta che, in linguaggio mussoliniano, potrebbe dirsi insieme di libro e moschetto (13).
E la domanda retorica di Tripodi appare qui più che opportuna, “… la società degli uomini e l’anima dell’uomo non tendono entrambe verso Dio, cioè verso il loro stato perfetto? (14)” specie perché preceduta dall’asserzione fondamentale che assegna alla politica il perseguimento del “bene per la società” e alla religione quello del “bene per l’anima”.
Il percorso e gli obiettivi della battaglia sono chiari e più che giustificati e non si ammette diserzione, l’uomo non è mai abbandonato alla malvagità, ma deve fare la sua parte, compiere la sua missione; e la missione sociale comporta “… una sua fede nell’azione diretta a vantaggio della collettività, una religiosità costante nel portare a termine, anche con proprio sacrificio, i fatti imposti da quella fede, la quale, benché rivolta verso contingenze temporali, non contrasta né limita la religione di Dio, ma ne appiana anzi il cammino (15)” e visto che “nessuna pace ha mai fatto camminare la storia, se non per il tratto percorso dalla guerra che l’aveva preceduta” (16) è questo il messaggio che un napoletano di tre secoli fa consegna alle nuove generazioni presenti: che i vostri studi accrescano, oggi più che mai, “la conoscenza della guerra; da voi nasceranno i nobili sentimenti delle armi, le famose deliberazioni di imprese, le arti insigni dei condottieri, da voi, infine, deriverà la gloria militare e la grandezza dell’impero”. Non dimenticando, tuttavia, che da ciò non sono affatto esclusi i “sapienti” il cui principale dovere della vita è “dedicarsi ai vantaggi della patria” e che “Quelli che considerano la Sapienza amante della tranquillità non la conoscono completamente (17)”.
Naturalmente, della schiera illustre dei sapienti militanti di cui parla Vico, sia detto a margine di questi appunti, non fanno parte quegli scienziati, eredi di secoli di arbitraria antitesi tra scienza e fede, assurti in questi lunghi mesi al ruolo di guide e profeti, tutti epigoni – ben retribuiti – di un pensiero nichilista – spesso si tratta di ex marxisti – che ha ridotto la scienza “a una semplice esercitazione delle facoltà cerebrali sulla materia (18)”. Questi saccenti campioni dei comitati tecnico-scientifici e dei talk show sono in realtà nuovi barbari, non molto diversi dagli utili idioti, politici e star della Tv, che li hanno incoronati con carnevalesche corone di cartapesta, destinate, alla fine della “festa” al bidone della spazzatura.
1 Piero Vassallo: “Introduzione allo studio di Vico”, Edizioni Thule, Palermo, 1992, p. 9.
2 Ibidem, p. 69
3 Ibidem, p. 13.
4 Giambattista Vico: “Scienza Nuova seconda”, I, II, degnità VII, Arnoldo Mondadori editore, Verona, 1957, pp. 81-82.
5 P. Vassallo, Op. cit., p. 12.
6 Nino Tripodi: “Il pensiero politico di Vico e la dottrina del Fascismo”, Cedam, Padova, 1941.
7 Ibidem, p. 58.
8 Ibidem, pp. 88-89.
9 P. Vassallo, Op. cit., p. 26.
10 G. Vico, Op. cit. p. 557
11 Ibidem, degnazione XL, pp. 94-95
12 Ibidem, p. 95
13 Cfr “Orazione V”, in G. Vico: “Opere filosofiche”, Sansoni editore, Firenze, 1971
14 N. Tripodi, Op. cit., p. 103
15 Ibidem, p. 105
16 Ibidem, p. 197
17 “Orazione V”, in G. Vico, Op. cit., p. 760 e segg.
18 Carlo Costamagna: “Dottrina del fascismo”, Edizioni di Ar, Villa San Giovanni, 1984, Vol. II, p. 41.