di Francesca Menin

Nell’agosto di due anni fa, dopo che l’allora Primo Ministro aveva mentito alla Nazione, prendeva vita il green pass che, dopo due mesi, divenne per tutti requisito fondamentale per poter lavorare.

In quel sabato di ottobre, il 9 ottobre, migliaia di persone da tutta la penisola si recarono in Piazza del Popolo a Roma per manifestare la loro contrarietà a quello che, a tutti gli effetti, si configurava come un obbligo vaccinale indiretto, aggravato dalla minaccia della perdita del reddito da lavoro. Mai avevo visto dal vivo una piazza così gremita, così affollata di gente comune che rivendicava un proprio diritto: cittadini, gruppi di famiglie, di amici, tutti ignari di quello che sarebbe accaduto qualche ora dopo il loro arrivo nella capitale.

Già, perché quello che accadde fu violenza. Fu violenza in ogni strada del centro di Roma in cui osassero camminare le persone che poco prima erano state in Piazza del Popolo: stesso destino per il gruppo che aveva seguito il corteo autorizzato, ma anche per i gruppi che, autonomamente, si sparsero nella direzione opposta. Non avevo mai vissuto una situazione simile, in cui anche la concezione temporale è talmente relativa da portare a chiederti se tutto ciò sia durato 10, 20, 30, 40 minuti…perché ogni parte del corpo riversa la massima attenzione su ciò che sta accadendo e si rifà al suo istinto primordiale: la protezione di sé stessa. Questo accade quanto stai respirando violenza. Sì, fu violenza: da una parte della città, i getti degli idranti e i lacrimogeni piombavano su famiglie e gruppi di cittadini fermi e disarmati sui quali i poliziotti si accanivano anche fisicamente dopo averli gettati a terra; dall’altra parte, ovvero durante il percorso del corteo autorizzato (in quanto la polizia ha permesso di uscire da Piazza del Popolo e di proseguire il cammino), accadeva persino un investimento di manifestanti da parte di un blindato e di un agente, che, come tanti altri, era vestito in abiti civili, e che, a dire dell’allora Ministro Lamorgese, “testava la forza ondulatoria del mezzo” (forse nella speranza che qualche manifestante emulasse le sue azioni ed avere quindi il pretesto per altra violenza gratuita?).

Lo spregevole spettacolo si concluse, come tutti sanno, davanti alla Cgil, dove abbiamo visto con i nostri occhi quello che poi ogni italiano avrebbe visto sui social e sulle televisioni. Anche qui fu violenza? Sì. E ci fu anche un’irruzione. E due persone che si sono arrampicate sulle finestre, hanno alzato le tapparelle, distrutto le telecamere e aperto la porta ai manifestanti. Ad oggi non sappiamo chi fossero, non ancora identificati, e nemmeno se saranno accusati di qualche reato mentre in ogni telegiornale e in ogni giornale mainstream sono stati sbattuti in prima pagina (e in galera), con solerzia, quelli che dovevano diventare i “mostri”.

Quello che so per certo, infatti, è che una persona che conosco personalmente risulta accusata di reati gravissimi, senza aver fatto nulla; e sostengo che non abbia fatto nulla perché l’ho visto, come l’hanno visto tutte le persone che si trovavano vicino a lui e che come lui erano partite dalla nostra città per arrivare a Roma. Come si possa accusare una persona di reati così gravi, rovinarle rapporti sociali, vita e costringerla ad usare il denaro frutto del proprio lavoro per difendersi, quando sarebbe bastato guardare le centinaia di video di quel giorno, resta un mistero.

La magistratura ha l’occasione per ristabilire molte verità già date per granitiche, non solo su questa accusa ma anche relativamente agli episodi più sopra raccontati, a meno che non si voglia scrivere, anche giudiziariamente, un’altra pagina triste della storia di questo Paese. Quel che è certo è che chi c’era quel giorno non dimentica, non può dimenticare: fu violenza!

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