di Ruggiero Capone
Caro ministero per gli Affari Regionali, la gente sa bene che Roma è all’oscuro di quanto si consuma nei meandri delle regioni italiane: soprattutto il ministero può solo supporre che i referenti regionali ed europei del Pd abbiano introitato “mazzette” per introdurre localmente norme tanto care alle multinazionali. Queste ultime hanno corrotto i vertici della commissione europea perché inserissero nell’Agenda UE quelle famigerate normative che stanno portando a morte la piccola e media impresa italiana e, soprattutto, calpestando i diritti di proprietà e distruggendo i patrimoni dei cittadini. Il legame tra le eminenze oscure del Partito democratico e la dirigenza di Bruxelles è antico, ed alla base della svendita dell’Italia alle multinazionali.
FAVOLA METROPOLITANA (ogni riferimento è puramente casuale)
C’è una favoletta che in politica passa di bocca in bocca da più di vent’anni. Parla di un magistrato che avrebbe convocato nella seconda metà degli anni ’90 un potente della politica (in gioventù ospite con la famiglia di Stalin) perché le indagini avrebbero fatto emergere il suo personale interessamento per aiuti allo sviluppo indirizzati ad un paese adriatico e balcanico viciniore. Tutto cominciava con la perquisizione di una nave da parte di militari italiani: nella stiva al posto di generi alimentari e prodotti per agricoltura e industrie manifatturiere, gli agenti rinvenivano un carico d’armi diretto al paese bisognoso d’aiuti. Eppure la nave recava i colori arcobaleno della “cooperazione internazionale”? L’operazione di polizia prendeva il nome di un uccello marino, si mormora “Cormorano” o forse “Pellicano”. A seguito di questi fatti, il magistrato avrebbe interrogato in gran riserbo il potente che, evidentemente irritato per la perdita di tempo, pare avesse ordinato la stampa tacesse sulla vicenda (siamo in Italia e l’informazione è serva degli eredi del Pci). Come tutte le favole, la vicenda aveva un lieto fine: il giudice lasciava dopo poco l’ordine giudiziario e si candidava sindaco nella propria città, assurgendo a referente locale del partito. Sul conto del politico interrogato dal magistrato trapelava solo la battuta “vorrebbe assurgere a uomo delle segrete cose” fatta da Francesco Cossiga, che pare sospettasse il “compagno” volesse prendere il suo ruolo nel determinare le vicende italiane. Ma non andiamo oltre: si tratta pur sempre d’una favoletta, di una leggenda metropolitana nata nel tacco dello Stivale.
DURA REALTA’: REGIONI, UE, MULTINAZIONALI
Purtroppo non sono affatto favole gli espropri in favore delle multinazionali che, gli eredi di un fantomatico politico del Partito democratico stanno comminando ai contadini leccesi, prima in favore dei padroni della Tap (un oleodotto in costruzione da dieci anni) e poi per adempiere al “Piano Porsche-Volkswagen”. La Regione Puglia, retta da un ex magistrato (non c’è alcuna allusione alla favoletta iniziale), ha spinto e benedetto la ratifica dell’intesa d’esproprio nei Comuni di Nardò e Porto Cesareo. Così la Regione Puglia ha deciso d’espropriare per “pubblico interesse” 351 ettari di pregiato oliveto, ritenendo irrilevanti le proteste di proprietari ed abitanti del comprensorio salentino. Lo stesso ente locale ha ammesso che non c’è stato alcun accordo bonario con gli espropriati, e che saranno penalizzate sia le aziende zootecniche che i tradizionali olivicoltori. Una saccheggio del territorio che prevede anche iniqua compensazione pecuniaria dei proprietari, in forza della “pubblica utilità” dell’opera, nonostante il piano crei grande agio alla multinazionale privata Porsche-Volkswagen. Ma il caso pugliese non è isolato. Gli attuali espropri poggiano su precisi impegni, che la politica ha preso in Europa con le multinazionali e all’insaputa dei cittadini. Vi abbiamo già detto che, tra il 1992 ed il 2001, sono stati firmati assegni in bianco a favore dei poteri finanziari che hanno in pugno la Commissione europea. Il valore di questi impegni è faustiano, e a Bruxelles pretendono che gli impegni vengano rispettati. Chi ha compromesso l’Italia lo ha fatto con un misto di superficialità e cattiva fede. Ora le scadenze vengono al pettine, e non si tratta più solo di contribuire a salvare le banche tedesche: oggi, in forza delle reiterate cessioni di sovranità, sarebbe il caso di chiedersi chi possa essere il vero titolare del suolo italiano. Qualcuno a questa domanda già risponde con la battutaccia “chiedetelo alla Commissione europea”.
LA CORRUZIONE EUROPEA
Si torna a ricordare al lettore che l’Italia versa una media di oltre diciotto miliardi di euro annui all’Unione europea, soldi che contribuiscono al mantenimento delle istituzioni UE, ma anche a finanziare quel fondo perequativo che garantisce l’erogazione di aiuti e finanziamenti (sostegno alle emergenze e politiche di vario titolo). L’Italia non è la sola a rastrellare danaro nel proprio territorio per sostentare Bruxelles, Strasburgo e l’intera macchina burocratica europea: tutti i ventisette paesi membri contribuiscono in proporzione alla rispettiva ricchezza, stimata nelle sedi UE in base ai bilanci statali, alle patrimonializzazioni ed alle molteplici tipologie di risorse. Dei diciotto miliardi annui, ne ritornano in patria uno scarso sessanta per cento, e sotto forma di fondi europei a progetti di vario ordine e tipo. Quindi più di otto miliardi rimangono nelle casse europee. Per il momento ci si limita ad argomentare dei fondi che lo Stato italiano conferisce al soggetto Unione europea, perché la quota che il sistema bancario versa alla Bce richiederebbe una trattazione a parte e molto più lunga: anticipiamo che il funzionamento del sistema bancario europeo non è dissimile da quello dell’UE, funziona come il pagamento del conto alla “romana” al ristorante; in pratica francesi, tedeschi ed olandesi ordinano caviale e champagne, mentre italiani, greci, spagnoli e portoghesi una semplice pizza, al momento di pagare il conto vige la regola che si divide alla “romana”, e senza lamentarsi. Gli otto miliardi che tornano in Italia vengono erogati ai soliti noti dell’impresa e delle professioni, della cooperazione e del no-profit. In poche parole tornano in Italia per essere gestiti ed elargiti ad amici dei vari Caf riconducibili a Pd e dintorni, oppure per aiutare le tante Ong a formare lavorativamente i migranti provenienti da paesi extra-UE (il compito che pare abbia svolto la cooperativa di moglie e suocera di Soumahoro). Mentre questo meccanismo drena annualmente sostanze dai contribuenti italiani, parallelamente c’è chi a Bruxelles ha sempre lavorato per far chiudere le botteghe artigiane del Belpaese. Ricordate tutti le parole profferite in televisione da un imprenditore veneto (artigiano metalmeccanico) che dava del ladro e tangentista a tutti gli eurodeputati del Pd? Europarlamentari rei secondo l’uomo d’aver intascato tangenti per far approvare le normative UE che hanno portato a morte il “made in Italy”: le parole dell’artigiano (intervistato da La7) pare abbiano creato imbarazzo tra politici e giornalisti in studio.
IL PRIMATO MORALE DI PD E BRUXELLES
Per decenni politica e stampa italiana ci hanno raccontato che Bruxelles sarebbe sede d’una sorta di primato politico ed etico, e che lì verrebbero prese decisioni per il bene di tutta l’Europa. Oggi, alla luce dello scandalo che ha coinvolto sessanta eurodeputati, è lecito chiedersi se quelle norme europee non siano davvero state partorite a fronte del pagamento di tangenti da parte di multinazionali. E’ certo il lavoro fatto nell’ultimo decennio dalle lobby regolarmente iscritte a Bruxelles nell’albo dei “portatori d’interessi”: hanno avvicinato eurodeputati e commissari, prospettando loro come migliorare la vita dei cittadini europei attraverso domotica, informatica, norme bancarie ed assicurative, chiusura di attività tradizionali, norme sanitarie e farmaceutiche, contatori intelligenti, green economy, auto e moto elettriche, obblighi di messa a norma UE di case e botteghe. Gli eurodeputati, eletti dai cittadini, hanno eseguito alla perfezione le tappe nell’agenda dettata da multinazionali e “portatori d’interessi” (sia di grandi società che di stati extraUE). Ci hanno persino detto che tutto è in armonia con l’AgendaOnu 2030. Sorge il dubbio che i lobbisti potrebbero anche aver corrotto l’Onu perché redigesse un prontuario utile alle multinazionali energetiche, cibernetiche, farmaceutiche e finanziarie. La recente vicenda di Bruxelles ci dice che degli eurodeputati potrebbero aver preso soldi da privati per fare leggi non gradite ai cittadini. I sessanta eurodeputati coinvolti nella storia di mazzette appartengono sia alle famiglie politiche dei Socialisti e Democratici che al Partito Popolare come ad altri raggruppamenti della sinistra ambientalista e tecnologica. Emergerebbe dalle indagini dei servizi segreti belgi che, le intelligence marocchina (Dged, il servizio segreto di Rabat) come di paesi africani incontravano esponenti dell’Europarlamento per condizionare attraverso tangenti la strategia di Bruxelles e Strasburgo in materia d’immigrazione, le famose politiche utili alle Ong. Non è un caso che il ministro della Giustizia belga, Vincent Van Quickenborne, abbia parlato di un consolidato sistema di tangenti per influenzare le decisioni politiche europee da parte di potenze economiche. Van Quickenborne ha chiaramente alluso ad “innumerevoli ingerenze straniere in più settori”, lasciando intendere che si tratti sia di stati che di multinazionali.
KAILI, PANZERI, PD E REGIONI ITALIANE
Non solo c’è stata ingerenza di apparati esteri che hanno minacciato la sicurezza dell’Ue, ma anche di multinazionali che, dietro il pagamento di tangenti, hanno ottenuto vantaggi economici attraverso l’introduzione di regolamenti capestro per i cittadini europei: emerge nel paragrafo “interferenze nei processi decisionali” redatto dalla Sûreté de l’Etat (servizio segreto civile belga). Secondo fonti belghe, se è coinvolta la vicepresidente del Parlamento Ue (la greca Eva Kaili) significa che in Europa c’è marciume da decenni: la Kaili è emanazione della famiglia socialista greca Papandreou, che ha favorito la svendita di porti, aeroporti, isole, noli e villaggi turistici a società estere, trasformando i greci in un popolo di poveri e nullatenenti. Sorge il sospetto che il fallimento e la svendita della Grecia siano avvenute a seguito di tangenti pagate all’equipollente greco del Pd italiano. Grazie alle indagini dei magistrati belgi stanno emergendo i nomi di chi lavorava contro l’economia italiana ed europea. A questo punto è lecito chiedersi cosa facesse Forza Italia a Bruxelles, anche perché il partito berlusconiano (oggi ad un passo dall’estinzione) conta ancora su una rappresentanza europea e su presidenti di Regione: è il caso di Alberto Cirio che esordiva nella Lega per poi assurgere prima a eurodeputato azzurro e attualmente presidente della Regione Piemonte. Quest’ultima è l’ente locale che sta applicando in maniera ferrea le restrizioni desiderate da Ue e Onu, vietando la circolazione delle auto private e auspicando la chiusura delle aziende artigianali non più gradite al Nord Europa. Cirio porta avanti la stessa politica di Michele Emiliano, di Beppe Sala a Milano e di Roberto Gualtieri a Roma. Piccolo particolare: Cirio e Gualtieri sono stati colleghi a Bruxelles, e probabilmente fanno parte dello stesso club europeista della von der Leyen.
Fonte: lapekoranera.it