di Cris Baldelli

Quante volte abbiamo sentito parlare di “libertà di stampa” in maniera quasi morbosa e totalmente inefficace? Quella stessa libertà di stampa che viene garantita per alcuni e impedita per altri, quella che negli ultimi anni, è stata usata a propio piacimento per giustificare le vergogne del mainstream su tutto: dal covid alla guerra, dalla narrazione climatica agli spauracchi sul fascismo, dalla povertà alla borghesia ecc..

È un periodo molto strano quello che stiamo vivendo nel giornalismo di oggi, poiché quest’ultimo non viene più visto come dovrebbe essere: ossia una forma di informazione verso il popolo, ma bensì come megafono di una propaganda inutile che non fa altro che alimentare non solo una visione distorta della realtà ma addirittura una separazione totale dalla cittadinanza, quasi a ricordare il discorso sull’egemonia culturale di Antonio Gramsci, ma non è di questo che voglio parlare.

Voglio discutere di quella che dovrebbe essere una lotta seria alle fake news, che oggi non viene gestita come dovrebbe dal sistema, ma bensì la usa a propio piacimento. Sia chiaro: non tutto il panorama “antisistema” si trova esente da critiche e puntualizzazioni, perché se è vero che, spesso e volentieri, le voci libere sono state silenziate dal mainstream è anche vero che in molti frangenti si è dato spazio ad una fascia di comunicazione che con l’antisistema non c’entra assolutamente nulla. Si tratta di fenomeni che hanno cavalcato l’onda del dissenso per diffondere idee seriamente strampalate: vaccini, terra piatta, ebraismo, nazismo e comunismo ovunque, antenne 5G, alieni, tamponi e altre versioni non corrette (o nel peggiore dei casi, lasciatelo dire, frutto di fantasia) che sono state anche prese in mano dalla stampa di regime per criminalizzare un’intera area politica che si sottraeva ad un pensiero unico dominate. Tutto ciò però è sempre esistito, e non metto in dubbio che serva una legge per mettere anche in chiaro quali sono le vere notizie e quelle false, così come è necessario distinguere la vera controinformazione dalle chiacchiere da bar.

Spesso dietro la lotta alla disinformazione, e alle falsità, si nasconde la censura e i bavagli di regime, che impediscono la libertà di espressione e di pensiero, mascherando la repressione politica con la democrazia. Quest’ultima ricordiamolo sempre più nulla ed insignificante.

Tutta questa introduzione serve a ad accompagnarci nell’argomento che vogliamo trattare: il regolamento del “Digital Service Act”, la nuova normativa approvata dall’UE per quanto riguarda i contenuti online. A finire sotto la lente di ingrandimento finiranno i “grandi nomi” individuati dalla Commissione Europea, che forniranno un elenco dove sono racchiuse le piattaforme che superano i 45 milioni di utenti. Tra i nomi spiccano Google, Facebook, Instagram, X, Amazon, Wikipedia e Bing. Le grandi piattaforme saranno quindi soggette a requisiti sulla valutazione annuale dei rischi sistemici della disinformazione, contenuti ingannevoli, violazione dei diritti fondamentali dei cittadini e violenza di genere. Le violazioni di tali regolamenti porteranno a a multe fino al 6% del fatturato globale, mentre le piattaforme più piccole verranno sorvegliate dalle autorità nazionali, e quelle più grandi dalla Commissione UE.

Il problema è che si parla molto di disinformazione, ma non si definisce nel dettaglio ciò che corrisponde ad essa. Ergo, anche semplici opinioni o critiche che fuoriescono dal “perimetro” potrebbero essere bollate come fake news. Il punto 84 del decreto dice infatti: “Nel valutare i rischi sistemici individuati nel presente regolamento, tali fornitori dovrebbero concentrarsi anche sulle informazioni che non sono illegali ma contribuiscono ai rischi sistemici individuati nel presente regolamento. Tali fornitori dovrebbero pertanto prestare particolare attenzione al modo in cui i loro servizi sono utilizzati per diffondere o amplificare contenuti fuorvianti o ingannevoli, compresa la disinformazione. Qualora l’amplificazione algoritmica delle informazioni contribuisca ai rischi sistemici, tali fornitori dovrebbero tenerne debitamente conto nelle loro valutazioni del rischio.”

Detto questo, non serve una laurea in scienze della comunicazione per capire che si tratta di una “censura sotto mentite spoglie”, fatta apposta per reprimere le voci anticonformiste, un ennesimo atto liberticida che, come in altri casi rischia di indirizzare il monopolio libertario ad un’ennesima conventicola di persone.

L’onorevole della Lega, Alessandra Basso e il suo capo gruppo all’Europarlamento, Marco Campomenosi, hanno diramato una nota dove dichiarano: “In questa Europa che da anni non cresce e già destinata alla deindustrializzazione e all’irrilevanza sugli scenari globali, saremo anche tutti un po’ meno liberi. L’entrata in vigore del Digital Service Act, provvedimento che rafforzerà la censura su Internet, deciso passo in avanti verso la ‘cinesizzazione’ del concetto di libertà di espressione in Europa, ci allarma e ci preoccupa. Ancor più di quanto già avvenga adesso, qualcuno sarà autorizzato a far cancellare il contenuto dei pensieri dei cittadini, magari con il pretesto della lotta alle ‘fake news’, magari con l’obiettivo di giungere alla campagna elettorale per le europee con l’anestetizzazione dei pensieri alternativi che saranno messi ai margini e contro cui la stessa Commissione Europea spenderà molti soldi pubblici per promuovere sé stessa e le idee portate avanti dai partiti che hanno sostenuto Ursula Von der Leyen e i suoi incompetenti commissari in questi anni. Altro che difendere la libertà, Bruxelles sembra voler imporrare il modello cinese in Europa. La Lega è stata l’unica forza politica italiana a votare contro il Dsa al Parlamento europeo, opponendosi a questa deriva che, come sempre a dispetto di belle intenzioni e nobili scopi, nasconde una vera e propria legge bavaglio Ue”.

 

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