di Vincenzo Maida

La notizia non ha avuto molta risonanza sui media nazionali, ma è importante perché rappresenta il sensore di un “clima” che da qualche tempo stiamo vivendo.

Una sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito che chi fa allusioni sessuali sul luogo di lavoro nei confronti di una collega, non importa se soltanto per fare una battuta o per semplice goliardia, può essere licenziato. Viene tra l’altro sancito che: “Comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità della lavoratrice e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo, possono essere puniti con il licenziamento”.

Leggendo il dispositivo ci è venuto in mente un lontano ricordo dei primi anni di scuola media superiore. Una compagna di classe si era invaghita, non ricambiata, di un mio carissimo amico e vicino di banco. Lei era per lui decisamente poco attraente, anche se bravissima a scuola. Qualche ingenua battuta di troppo, la indispettì. Un giorno si recò dal Preside e denunciò il mio amico, accusandolo di aver tentato un approccio fisico durante la ricreazione, in un corridoio dell’Istituto. Il Preside con immediatezza venne in classe e ordinò al mio amico di prendere immediatamente le sue cose e di abbondonare l’aula: lo aveva sospeso a tempo indeterminato. Avrebbe poi riunito il consiglio d’Istituto e il collegio dei docenti per decidere quali provvedimenti punitivi adottare in via definitiva, atteso che l’interessata non aveva alcuna intenzione di ricorrere alla giustizia ordinaria, anche perché non aveva nessuna prova dell’accaduto. Furono convocati i genitori, riuniti gli organismi scolastici competenti, etc. etc. Il tutto si concluse, poco dopo una settimana, con i due interessati dal Preside che li aveva convocati: lei in lacrime confessò che si era inventato tutto e che la sua era stata una vendetta non solo alla indifferenza di lui, ma anche all’invidia per l’attenzione che prestava alle altre. Non fu preso alcun provvedimento punitivo, tutto si normalizzò e tra i due i rapporti divennero di cordiale amicizia e di rispetto reciproco.  Poi si laurearono entrambi e furono dei brillanti docenti. Purtroppo il destino li ha strappati alla vita, per cause diverse, giovanissimi.

Sono stato testimone di altri fatti del genere, sull’ambiente di lavoro. L’episodio, ma chiunque ne potrebbe narrare almeno uno, dimostra che ci muoviamo in un ambito molto “fluido”, giusto per utilizzare un termine che fa tendenza, e pretendere di confinarlo nell’ambito di una sentenza della Cassazione è davvero riduttivo, non solo, ma potrà essere la causa di provvedimenti sbagliati. Anche se già la Direttiva 2002/73/CE aveva stabilito che le allusioni sessuali devono considerarsi a pieno titolo delle molestie.

La Cassazione ha stabilito anche che una frase o un’allusione è punibile pur se: “E’ assente la volontà offensiva e che in generale il clima dei rapporti tra tutti i colleghi é spesso scherzoso e goliardico”. Oggettivamente ci sembra che tutta questa materia attenga alla buona educazione, anche scolastica, e ad un clima generale che deve essere improntato a reciproco rispetto. Con questi provvedimenti legislativi si entra in un ginepraio in cui sarà difficile districarsi anche per il giudice più attento o il datore di lavoro più accorto. Gli imbecilli non mancano tra gli uomini, anzi, ma le donne non sono tutte Santa Maria Goretti.

In taluni casi, due sani ceffoni o delle risposte appropriate, magari chiamando in causa la madre o la sorella come si usava volta, farebbero meno danni e soprattutto raramente si sbaglierebbero come le sentenze dei giudici.

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