di Vincenzo Maida
Nel 1969 alla città dei Sassi fu concessa la medaglia d’argento al valor militare e sette anni fa quella d’oro al valor civile: “Ma fu vera gloria”? Si è chiesto in un saggio Giovanni Caserta, storico materano di provenienza PCI e dichiaratamente di sinistra. Anche nel rispetto dei morti e dei loro familiari, non è corretto stravolgere la verità storica. Il 21 settembre del 1943 due episodi cruenti furono la causa che portò alla morte di 27 persone, 18 delle quali civili. Fino ad allora la convivenza con i soldati tedeschi era stata tranquilla. Per la storiografia ufficiale la città di Matera anticipò quella di Napoli nella sollevazione contro i tedeschi e questo gli è valso le due medaglie. Carlo Levi arrivò addirittura a parlare di “rivolta contadina”. L’autore del “Cristo si è fermato”, che ha fatto passare una riuscita costruzione letteraria per verità storica, ormai vedeva contadini dappertutto.
Voci autorevoli controcorrente ci sono già state in passate, ma Giovanni Caserta in un saggio ha letteralmente smontato il mito di Matera città della Resistenza.
Il prof. Raffaele Giura Longo, ad esempio, storico, già parlamentare del PCI e preside disse che a Matera non era accaduto nulla di paragonabile alla lotta partigiana svoltasi in altre regioni d’Italia. Le stesse forze politiche si mossero in ordine sparso in occasione di diverse celebrazioni. E ancora il prof. Francesco Paolo Nitti sottotenente dell’esercito, che, su questo importante aspetto, ha ricordato, così come hanno fanno altri, “che famiglie intere di “signori” e “galantuomini”, scesero nei Sassi e si nascosero nelle grotte e nel fondo delle stalle, mescolandosi agli spregiati cafoni e prendendo reale contatto, forse per la prima volta nella loro vita, con “la miseria dei cavernicoli”. Lo stesso Nitti in un saggio come testimone oculare ha affermato che: “lo scritto di Levi era forse suggestivo, ma “inesatto” e in parte “inventato” nell’aver voluto definire in termini di “rivolta contadina” quegli accadimenti. Non di rivolta contadina si era, dunque, trattato, ma di qualcosa di più”.
Ma cosa accadde a Matera? Due fatti fecero da detonatore: l’uccisione, nella gioielleria Caione e Colella e qualche decina di minuti dopo l’uccisione di un ufficiale tedesco nel salone di un barbiere mentre si stava facendo la barba. Caserta ha ricostruito i due episodi che hanno ben poco di eroico: “Due giovani soldati tedeschi si erano recati nella gioielleria e tedeschi per comperare qualcosa e semplicemente per liberarsi della carta moneta italiana che, lontano dall’Italia, non sarebbe servita a nulla. Il clima di tensione e di paura, soprattutto da parte dei due tedeschi, accerchiati da una decina di soldati, carabinieri e poliziotti italiani, determinò una condizione per cui si arrivò a sparare da parte dei nostri militari…A questo punto non si capì più nulla”. Questa è la testimonianza della signora Caione a cui si erano rivolti i due soldati tedeschi, Karl Reigler e Olen Gent Kupwess, una volta entrati intorno alle ore 16-16,15 nella sua gioielleria, sita in via San Biagio, al n. 22. Senza minacciarla o intimidirla. Lo dice lei, a più riprese. E lo sottoscrive in un verbale: non erano lì per svaligiare la gioielleria, ma solo per acquistare qualche oggetto, probabilmente un anello. “L’uccisione dei due tedeschi, sorprese e turbò i militari autori del fatto, tanto che si preoccuparono di nascondere immediatamente i corpi dei due uccisi e scappare. Purtroppo, proprio in quel momento, per via San Biagio, passava una motocarrozzetta tedesca, che notò e registrò l’evento. La situazione, allora, precipitò…Ogni cittadino era ormai un nemico”.
Qualche minuto dopo avvenne un altro episodio cruento. Protagonista un anonimo cittadino materano, Emanuele Manicone, che, entrato in una bottega di barbiere dove era intento a farsi la barba un ufficiale tedesco, dopo aver cercato inutilmente di sparargli, “lo colpisce con una sciabola o con un coltello, mentre quello teneva le mani in alto in segno di resa e si dichiarava prigioniero”. “Il vigile urbano Francesco Lapacciana e Donato Cetera, autista della Provincia, con atto di estrema umanità, o con grande senso di responsabilità, anziché lasciare il ferito a morire dissanguato, si affrettarono a portarlo al vicino ospedale, a circa centocinquanta metri di distanza. Fu lì curato e guarito”. Quell’ufficiale “non serbò rancore. Anzi, ritornò a Matera per rivedere la bottega e per ringraziare i soccorritori”. “L’atto di Emanuele Manicone, abbastanza inaspettato e scioccante anche per i materani presenti, convinse i tedeschi a temere di chiunque. La paura, mista all’odio e al desiderio di cieca vendetta, ormai dilagava dappertutto. I tedeschi scorrazzavano per le poche strade della città del piano, allora poco estesa, forse alla ricerca di altri ostaggi con cui coprirsi le spalle e la fuga, certamente per compiere gli ultimi atti di sabotaggio, o, più semplicemente, per seminare il terrore, creare il vuoto e fuggire senza altre perdite”.
I materani, “sorpresi dal precipitare degli eventi, in uno stato di confusione essi pure cercarono, come poterono, di organizzare la difesa”. Alcuni armati di accetta, altri di fucile da caccia: tutti gli episodi di guerriglia contro i tedeschi si consumarono in quelle due ore. Una guerriglia cui non prese parte certamente un protagonista: “La città del piano…, quella che da secoli, dall’alto, gestiva il potere economico, politico e sociale, e che si considerava mente pensante e guida della città, fu assente”. Caserta, infatti, alla luce di quanto ricostruito sostiene che “in simile situazione poteva non succedere nulla. Poteva accadere, cioè, che i tedeschi, senza alcuna resistenza da parte di alcuno, se ne andassero pacificamente. […] Nessuno se ne sarebbe meravigliato, perché avevano fatto e avrebbero fatto così altrove, e così avevano fatto con gli operai delle ferrovie Calabro-lucane”. Accadde invece che il clima di terrore che si stava vivendo, e per coprire la loro fuga, i tedeschi fecero saltare in aria il Palazzo della Milizia e la società elettrica, provocando la morte di 21 ostaggi. Per qualche anno fatti rimasero confinati nei brutti ricordi della città poi un articolo di Carlo Levi li riportò al centro della memoria storica materana.
A qualcuno che non ha gradito la sua ricostruzione dei fatti, Giovanni Caserta ha replicato con queste parole: “ Scriva un libro di 150 pagine, registri un video di mezz’ora come ho fatto io e sappia che la verità – come diceva Dante – è cibo amaro al primo assaggio, ma poi nutriente e salutare. Non voglio dire con Gramsci e con Lenin che “la verità è sempre rivoluzionaria”, perché non vorrei che Lei, Sig. Salerno, mi dica veterocomunista. Io, alla mia età, sono solo un inguaribile pacifista, come lo erano gli uomini della Resistenza, quelli che la combatterono, non quelli che, troppo facilmente, e senza rischi, oggi la predicano come fa Lei a buon mercato, a ottant’anni di distanza. Sono convinto che esistono tedeschi buoni e tedeschi cattivi, italiani buoni e italiani cattivi.” Impossibile dargli torto.