di Francesca Fiore
Il giorno 27 Settembre è stato organizzato, presso l’Istituto Storico e di Cultura dell’Arma del Genio di Roma, un convegno riguardo i crimini di guerra e di aggressioni dalla Camera Penale Militare.
Ad esordire è la Presidente della Camera, Saveria Mobrici, la quale dà il benvenuto agli ospiti presenti e dà avvio ad un confronto su quelle che sono le vie per contrastare i crimini di guerra. Il primo lungo intervento è tenuto da Marco De Paolis, procuratore generale del Tribunale Militare della Spezia, che istruì una serie di processi ed indagò vari eccidi da Marzabotto a Cefalonia. Egli ricostruisce il procedimento con cui la giustizia, seppur con andamento anomalo e tutt’altro che celere, ha cercato di mettere in luce svariati orrori, commessi dai nazionalsocialisti in territorio italiano durante la seconda guerra mondiale e punirne i responsabili. Precisa che tali processi, principalmente quello di Norimberga, in cui 24 importanti esponenti del regime hitleriano furono accusati e condannati, rispondono innanzitutto all’esigenza di divulgare fatti non conosciuti in un’epoca in cui non esistevano i media, ma anche ad un dovere morale e giuridico di rendere giustizia alle numerose vittime e di perseguire soggetti che non godono più della deresponsabilizzazione penale basata sul concetto di esecuzione di ordini superiori.
A dare spazio ad un’altra narrazione giuridica è l’Avvocato Nicola Trisciuoglio che, assumendo la posizione di “difensore dei dannati e dei vinti”, si pone in contrasto col principio di fondo espresso dal relatore precedente attraverso un’osservazione tutt’altro che politica, come invece la definisce De Paolis. L’avvocato spiega, citando il celebre giurista Kelsen, che i procedimenti fino ad ora accennati sicuramente servirono a sensibilizzare la società, ma che furono luogo in cui morì il diritto poiché privi di legittimità. Infatti assistiamo, secondo il legale, ad un’assenza di garanzie processuali, in particolare a favore della difesa, tra cui il rispetto della costruzione della prova ed il principio di non colpevolezza. Inoltre fu violato un altro pilastro giuridico, dal momento che furono emanate leggi entrate in vigore posteriormente ai fatti commessi. Questo meccanismo di oggettivizzazione del reato, secondo cui gli imputati erano criminali a prescindere poiché avevano la possibilità di obiettare agli ordini, è, come dice l’Avvocato, “un obbrobrio giuridico”, poiché non riesce a determinare la colpevolezza degli imputati che, con l’olocausto, avevano poco a che fare. Tali processi, intrapresi non a caso dai vincitori di guerra presi dalla voglia di vendicarsi dei propri nemici, non furono allora un’occasione “per ridisegnare il teorema di condanna alle idee”?
Al di là delle posizioni personali a tal riguardo, altri due interventi sono serviti a trovare una via di arrivo alla pace. Il primo è quello dell’Avvocato Paolo Iafrate, docente presso l’Università Internazionale per la Pace, Sede Italiana in “Diritti umani, dell’immigrazione e della cooperazione” e membro del comitato etico. In particolare si occupa dei casi degli immigrati, dei richiedenti asilo e dei minori, soggetti vittime di guerra. Infine, Padre Mariano, in stile sermoniano, offre una visione filosofico religiosa. In guerra, come diceva Cicerone, il diritto tace, poiché la guerra, atto compiuto esclusivamente dall’essere umano, è di per sé violenza. Nonostante ciò, egli riesce a trovare una via di cessazione dei crimini di guerra attraverso l’insegnamento del Dunantismo, ispirato ai valori religiosi della solidarietà, della pietà e del soccorso che si propone di creare uno spazio neutro per far risorgere la dignità umana tra le tenebre della guerra. Ed è proprio qui che inizia un processo di umanizzazione della guerra che può finire, più che in una persecuzione dei crimini di guerra, in una proibizione della guerra stessa, poiché la guerra è di per sé un crimine.