di Vito Comencini

Alcune settimane dopo l’inizio della così detta “operazione militare” in Ucraina (24 febbraio 2022) , ordinata dal Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin, mi recai a San Pietroburgo, una città che amo molto e che ritengo tuttora, nonostante tutto, un ponte tra Oriente ed Occidente. La curiosità di vedere le reazioni della gente, i sentimenti, le preoccupazioni, ma anche le speranze, devo ammettere, era tanta. Così oltre ad ascoltare, cercai di osservare la situazione con occhi esterni.

Le televisioni russe, più o meno allineate al governo, parlavano in continuazione del conflitto, con dibattiti televisivi, programmi di approfondimento storico-culturale, ma anche e soprattutto servizi per descrivere la situazione sul campo, su ciò che già da 2014 era avvenuto in Donbass. Ebbene sì: anche in Russia era necessario più che mai cercare di smantellare la propaganda occidentale atlantista della NATO e dell’UE, che mirava, invece, a celare totalmente le vere radici di questa guerra e di mostrare solamente le menzogne che in quel momento propizio potevano fare comodo.

Era evidente, inoltre, la sfida patriottica della Federazione, ma in parte anche la ricetta vincente, di risvegliare l’orgoglio del popolo o meglio dei popoli russofoni, in difesa della Nazione e dei propri fratelli della Crimea e del Donbass. Così il messaggio della “denazificazione” dell’Ucraina ha iniziato a prendere piede, con uno spirito inevitabilmente e comprensibilmente nostalgico. Un Paese “messo all’angolo” ed accerchiato in Occidente dalla NATO, che ha dovuto risvegliare tutto il suo spirito identitario e sovranista, per riuscire a superare questa ennesima ardua prova della storia. È chiaro che il messaggio per cui: dopo Napoleone e Hitler, ecco una “nuova aggressione” simile a cui dover rispondere duramente, poteva fare breccia. Quanto questi aspetti possano colpire nel segno, lo si capisce infatti anche a San Pietroburgo, la meravigliosa città fondata da Pietro il Grande, ispirata alla Civiltà Classico Cristiana Europea, ben altra roba rispetto all’attuale decadente Europa dei burocrati.

Si può trovare, vicino alla via a lui dedicata “Suvorovskiy Prospekt”,  il museo celebrativo del grande generale russo Aleksandr Vasil’evič Suvorov, soprannominato “l’invincibile” che alla guida dell’Armata Austrorussa sconfisse appunto le truppe napoleoniche, inseguendole fino sulle alpi svizzere. Il museo rimase chiuso durante il periodo sovietico, nonostante pure Stalin utilizzò la sua figura in modo propagandistico e strumentale per la “Grande Guerra Patriottica”, ma grazie alla svolta identitaria putiniana è stato riaperto, restaurato e rilanciato.

Più in là c’è un altro lungo viale, dedicato ad un altro eroe del popolo russo: “Aleksandr Nevskij”, che viene invece ricordato per aver sconfitto i cavalieri teutonici e quindi già allora “l’invasore germanico”. In fondo allo stradone, dove vi è una bella chiesa a lui dedicata ed un grande monastero, vi è anche una statua dell’eroe guerriero a cavallo con in mano una lancia e nell’altra uno scudo, che campeggia in mezzo all’incrocio.

Lì di fronte c’è un’ampia struttura tipo centro commerciale, con vari negozi e l’ingresso della metropolitana. Così, spinto dalla mia curiosità, l’anno scorso mi recai dentro per vedere in particolar modo la situazione del supermercato finlandese, che già conoscevo, appartenente ad una catena che vendeva in tutta la Russia, proponendo soprattutto prodotti provenienti dai paesi europei. La situazione mi parve abbastanza desolante e preoccupante, con il negozio mezzo svuotato e chiaramente in fase di “svendita”/chiusura definitiva. Chiesi quindi ad un commesso conferme e chiarimenti, ma mi disse semplicemente che stavano per chiudere totalmente, senza ripensamenti. Addio negozio finlandese e addio eccellenze europee insomma.

Uscito dal centro commerciale, il flusso della gente tra chi entrava e chi usciva dalla metropolitana era come al solito travolgente, ma capitai davanti ad un giovane che distribuiva giornali di propaganda e ne presi uno sempre per pura curiosità. Era un giornale chiaramente a favore dell’intervento armato in Donbass, che non a caso in prima pagina aveva l’immagine commovente del Presidente della Repubblica di Donetsk, Denis Pushilin, attorniato da fedelissimi, che stringe la mano ad un’anziana signora rassicurandola.

Il clima era perciò certamente di un paese consapevole di essere in guerra, sia dal punto di vista economico-commerciale sia da quello militare. Ma la vera domanda era: da quando? Ebbene la risposta sia sui media russi, che tra la gran parte della popolazione era alquanto sorprendente per un europeo, quanto invece scontata per loro. Per il cittadino russo la questione del Donbass e quindi il conflitto con l’Ucraina, supportata da diverse potenze occidentali, non era iniziata da qualche settimane o mese, ma da anni. Discutibile e forte tema di confronto lo era invece naturalmente il fatto che il Presidente Putin avesse deciso di intervenire in quel momento ed in quel modo. Era stata una mossa giusta o azzardata? Non poteva attendere che fossero loro ad attaccare, per “non passare dalla parte del torto”?

Tanti dubbi e preoccupazioni legittime, ma la differenza rilevante rimane il fatto che, a differenza dei media occidentali che avevano celato il più possibile ciò che era successo e stava accadendo in quei territori, nella Federazione Russa la consapevolezza e la conoscenza dei fatti era molto forte.

Riprendendo la mia camminata per “Piter”, come chiamano simpaticamente i russi la grande città russa ed ex capitale zarista, vidi un sacco di persone lungo marciapiedi, nei negozi, nei ristoranti, sui mezzi pubblici, mentre il traffico delle auto era come al solito intenso.

Sull’autobus, come di consueto, c’era un pensionato con la casacca gialla ed il lettore, che per passarsi via e prendersi qualcosa ad integrazione della pensione, effettuava i controlli di chi saliva sul mezzo, se avesse la tessera dei mezzi pubblici in regola o meno. Tutto un sistema digitale, con una tessera che si deve semplicemente scansionare su un lettore, senza nessun bisogno di timbrare biglietti cartaceo o altro. Alla faccia dell’arretratezza russa, di cui i nostri media narrano spesso. La gran parte dei controllori sono donne, molto agguerrite e severe, a cui non si scappa. In tanti anni non ho mai visto nessuno tentare di fare il furbo, il “portoghese” come si dici da noi, o aggredire qualcuno. Le uniche aggressioni di cui ho sentito narrare, pare siano avvenute in alcune città russe, dove durante la “pseudopandemia” le amministrazioni locali provarono a mettere l’obbligo di greenpass, ma che dovette essere subito revocato, dopo le reazioni “di forza” della gente. I russi sono gente molto tranquilla e pacifica, ma meglio non farli incazzare, meglio non far arrabbiare “l’orso russo”, come si suol dire, perché se poi esce dalla tana, sono cavoli amari. Anche sul bus si parlava naturalmente della situazione politica e l’addetta ai controlli, ridacchiando un po’ sulla questione dell’embargo disse “Cosa vuoi farci, vorrà dire che sopravviveremo mangiando le patate!”. Una risposta ed una reazione chiaramente atta a sdrammatizzare, ma che a mio avviso nasconde anche qualcosa di più serio e vicino alla realtà di un popolo spiritualmente e caratterialmente, portando ad una grande capacità di “resistenza”, rispetto alle avversità ed ostacoli della vita.

I ricordi dell’allora Leningrado assediata, stremata ed affamate, durante la Seconda Guerra Mondiale, sono ancora molto vivi e coloro che hanno messo in atto quella “vera resistenza”, altroché le vili cialtronerie all’italiana, sono considerati dei grandi eroi a cui portare rispetto e da cui prendere esempio, se necessario.

Sceso dall’autobus passai dal ristorante Tsar, dove nel 2019 con mia moglie festeggiammo il nostro matrimonio assieme a parenti ed amici. Si trattava di un bel ristorante molto elegante in stile periodo zarista che serviva tipiche pietanze russe, delle varie regioni della Federazione, ed ottimi vini russi, georgiani, ma naturalmente anche italiani. Purtroppo però ora il ristorante era chiuso definitivamente e le domande sul perché e percome sorsero spontanee in me, legando il tutto alla situazione, al conflitto, alle sanzioni, al calo dei turisti dall’occidente ecc.

Quindi tornai su Nevskij Prospekt e mi recai presso la Basilica di Santa Caterina D’Alessandria, dove con Natalia ci siamo sposati. La situazione era assolutamente normale: davanti alla chiesa c’erano i soliti banchetti degli artisti di strada, dediti a proporre i loro quadri ai turisti, mentre prima e dopo lungo la via c’erano i soliti bar, ristoranti e negozi, tra cui diversi appartenenti a multinazionali italiane, come Intimissimi, Calzedonia, Benetton, Valentino, Salvatore Ferragamo ecc..

La chiesa era aperta e c’erano un po’ di fedeli e turisti in preghiera o semplicemente in visita. Accesa qualche candela e recitato il rosario, ripresi a percorrere il lungo vialone di San Pietroburgo per recarmi in un ristorante tipico russo, dove mi attendeva Sergey. Il piacere di incontrare un buon amico era naturalmente infarcito anche dal fatto che, essendo lui di origini ucraine ed avendo parte della famiglia ancora là, poteva raccontarmi un punto di vista alternativo ed interessante. Mi ha così parlato di alcuni parenti, che erano in fuga dalle zone di guerra e che dopo un lungo viaggio stipati in treno, arrivati in Polonia, si sarebbero recati su un pulmino in Bielorussia, per trovare quindi il rifugio definitivo lì in Russia. Altri erano diretti verso altri paesi europei, mentre qualcuno aveva deciso di restare e rischiare, attendendo l’arrivo dei “liberatori russi”. La serenità con cui Sergey mi raccontava questa sua situazione era impressionante e ancor di più lo era la naturalezza con cui mi esprimeva la sua convinzione sulla correttezza dell’azione militare russa. A suo dire la situazione era ormai inaccettabile ed insostenibile, per cui vi era la necessità ed urgenza di un intervento armato per sbloccare lo stallo e compiere effettivamente la così detta “denazificazione” dell’Ucraina. Finalmente sentivo della “buona musica” per le mie orecchie, rispetto alla propaganda occidentale ed a tutti i pecoroni che se la bevevano e ripetevano come pappagalli: “Putin ha sbagliato, non doveva scatenare una cosa del genere! Putin è impazzito, è una follia!”.

Il Presidente della Federazione Russa credo invece abbia agito perché ormai il vaso era colmo e non si poteva più attendere oltre gli inganni di Zelensky, della NATO e della Ue sull’applicazione dei Trattati di Minsk. C’era poi la questione dei biolaboratori, presenti in Ucraina Orientale, proprio verso le zone di confine con il Donbass e quindi con la Russia. Una grave minaccia di attacchi chimici, virus creati ad hoc in laboratorio ecc.., di cui in Occidente si sottaceva volutamente l’esistenza, mentre le TV russe in continuazione ne parlavano, rilevandone la pericolosità.

Nei giorni successivi, riuscii ad incontrare un gruppo di profughi del Donbass fuggiti dalla guerra e che hanno trovato riparo proprio a San Pietroburgo. L’avvenimento è stato molto commovente ed ho ascoltato con molta attenzione i loro racconti, mentre gli occhi gli si gonfiavano di lacrime. Avevano una voglia tremenda di sfogarsi, di denunciare, di esprimere la loro rabbia e tristezza, per ciò che avevano visto e vissuto in questi anni in Donbass. Da parte mia la promessa di riportare in Italia ed in particolar modo nel nostro Parlamento, le loro testimonianze, quindi una luce di verità in mezzo alle oscure menzogne occidentali. Assieme a loro conobbi il coraggioso ed identitario deputato russo Vitaly Milonov, che alcune ore più tardi si sarebbe recato direttamente in prossimità del fronte in Donbass, per seguire la situazione da vicino e portare aiuti alla popolazione ancora presente.

Aiuti ed in particolar modo beni di prima necessità che nel mio piccolo portai invece, sempre in quei giorni ad uno dei tanti punti di raccolta presenti anche a San Pietroburgo. Si trattava in questo caso di una sede del partito Russia Unita, dove alcuni giovani volontari presenti ricevevano il materiale. Tutto ciò alla faccia dei vili colleghi portatori d’odio, che standosene comodo nelle aule del “Parlamento Italiota”, votavano invece per inviare armi e quindi foraggiare la guerra in Ucraina.

Ebbene ad ottobre 2023 a distanza di oltre un anno, tornato a San Pietroburgo, ho potuto respirare un’aria interessante, di grande normalità da certi punti di vista e di “vittoria resistenziale” da altri.

I ristoranti e negozi italiani sono presenti più o meo come prima, più in generale quelli di lusso, del lusso europeo, che evidentemente non ha abbandonato la “Cattivona Russia”, ma soprattutto non ha rinunciato agli “ottimi acquirenti russofoni”.

Sugli scaffali dei negozi e dei supermercati è presente la merce italiana, ma anche prodotti simili da molte altre zone del mondo, a dimostrazione che il commercio russo si è reinventato, rigenerato ed ha poco o tanto superato le “barriere isolazioniste” di Ue e Stati Uniti.

Mi sono fermato a mangiare qualcosa in un ristorante greco su Nevskij Prospekt e assieme alle pietanze elleniche consigliavano vivamente un vino rosso della California. Poco più in là c’è un nuovo locale “Balkan Restorant”, con piatti tipici di Bulgaria, Serbia, Montenegro ecc..

Quindi ho dato un’occhiata ai prodotti ortofrutticoli, che prima delle sanzioni del 2014 provenivano anche dall’Italia, ma adesso zero. Ci sono pomodori di Krasnodar, una regione nel sud della Russia vicino al Mar Nero, altri prodotti dall’Azerbaijan, dall’Armenia, da Israele ecc… Non mancano poi naturalmente i prodotti dalla Cina, in particolar modo tecnologici. Il via vai per le strade è continuo, con un traffico di auto impressionante pure alle due di notte, che ho notato appena arrivato in pullman dalla Finlandia, da dove molti passano per arrivare in Russia. C’è un piccolo aeroporto a Lapperanta, a pochi chilometri dal confine russo, dove da un anno a questa parte lavorano assiduamente, con due voli Ryanair a settimana solo con Bergamo. Ed a proposito di finlandesi, che fine ha fatto il supermarket della catena “Prisma” che ha chiuso a San Pietroburgo?

Dopo un anno e mezzo sono tornato a vedere e ancora una volta con un po’di sorpresa ho appreso che è ancora aperto, con gli stessi colori di prima, ma con le insegne in russo. Dentro un bel via vai di persone, a fare la spesa e una marea di prodotti da tutto il mondo sugli scaffali, compresi quelli italiani come la mozzarella e la “ricotta fresca”, prodotte da “Unagrande”, con tanto di simbolo tricolore fatto a cuore, stracciatella e mozzarella Galbani, gli “Amaretti” prodotti a Forlì, caffè Lavazza e Illy, pasta della Barilla, biscotti Loacker ecc.. Una situazione di normalità insomma di un paese in guerra, ma che perlomeno al momento quella economico-commerciale la sta vincendo. Si potrebbe dire che al momento, per utilizzare un eufemismo calcistico, dopo lo spauracchio magari iniziale, la partita contro l’Embargo Occidentale al momento sta sul 2 a 0 per la Federazione Russa.

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