di Alessandro Cavallini

Abbiamo sentito parlare per decenni di socializzazione ma, concretamente, non si è mai ben capito cosa si intendesse con questo termine. Di norma si poneva l’accento sulla partecipazione agli utili delle aziende da parte dei lavoratori delle stesse. Se fosse questa la caratteristica principale della socializzazione, segnaliamo subito due criticità: in primis, come sottolineava Evola con una certa dose di ironia, sarebbe interessante sapere cosa accadrebbe ai lavoratori se invece che utili l’azienda producesse del disavanzo; questa partecipazione agli utili poi non sarebbe nulla di così rivoluzionario ed anticapitalista dato che esiste, da decenni, nella realtà tedesca del Reno ed è definita di solito “economia sociale di mercato”. Allora qual è il punto principale della socializzazione, la sua caratteristica realmente rivoluzionaria ed opposta al Sistema capitalista ancora oggi dominante?

Facciamo una piccola premessa. Quali sono i due elementi costitutivi di un ciclo produttivo aziendale? Il Capitale ed il Lavoro. Ed è proprio su questi due termini che nel Novecento abbiamo assistito ad un duro conflitto tra i capitalisti ed i marxisti. Secondo i primi ciò che contava era unicamente il Capitale poiché l’imprenditore si assumeva il cosiddetto rischio aziendale. Peccato però che, nei fatti, se l’azienda produceva utili gli stessi finivano principalmente nelle tasche dell’imprenditore mentre, se l’azienda falliva, a rimetterci erano solamente i lavoratori che perdevano il posto mentre l’imprenditore di norma riusciva poi a partire con una nuova attività creando una nuova società che, formalmente, nulla aveva a che fare con la precedente. Per i marxisti invece contava solo il Lavoro per cui veniva abrogata l’iniziativa privata, tutte le attività erano nazionalizzate e tutto questo comportava un generale impoverimento della massa proletaria, schiavizzata dai desiderata della piccola nomenklatura del Partito Comunista che viveva nell’agiatezza. La socializzazione invece era il tentativo di realizzare una Terza Via che fosse al contempo anticapitalista ed anticomunista.

Secondo questa visione, Capitale e Lavoro non dovevano essere visti in contrapposizione ma in rapporto di reciproco aiuto poiché entrambi elementi necessari per la riuscita dell’azienda. La socializzazione riconosceva l’importanza e la necessità di una sana iniziativa privata ma, al contempo, riconosceva e voleva maggiormente tutelare l’importanza dei lavoratori che agivano nella quotidianità del ciclo produttivo: il Capitale infatti produce ricchezza tramite il Lavoro ed il Lavoro ha necessità del Capitale per dare vita ad un’attività. Da qui nasceva l’idea di coinvolgere maggiormente i lavoratori nella gestione diretta dell’azienda, ponendo in condizione di parità i due elementi della produzione. Questo è il punto fondamentale della socializzazione, da cui sarebbe dovuto sorgere quell’Umanesimo del Lavoro tanto agognato da Gentile. Certamente era anche prevista la partecipazione agli utili dei lavoratori ma quello era un elemento secondario ed accessorio. Il punto principale era un altro: un riconoscimento maggiore della dignità del lavoratore e quindi un suo maggiore coinvolgimento nel processo decisionale dell’azienda.

Tanti potrebbero però dire che oggi parlare di socializzazione è anacronistico e anche nostalgico, dato che la stessa è stata propugnata dal Fascismo. Eppure l’articolo 46 della Costituzione italiana, da sempre bandiera dell’antifascismo, così recita: “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”. Forse i cosiddetti “padri costituenti” si erano resi conto che la socializzazione era uno strumento utile per una maggiore dignità del lavoratore e che la stessa permetteva di superare gli evidenti limiti sia del capitalismo che del socialismo reale. Certo poi questo articolo è rimasto lettera morto, finendo nel più totale dimenticatoio. Ma sarebbe giunta l’ora di riproporlo e toglierli la polvere da cui è sommerso. O almeno questo dovrebbe essere fatto da chi, ancora oggi, sogna un mondo migliore e, soprattutto, si augura che i lavoratori possano liberarsi dalle catene loro imposte dal Sistema capitalista.

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