di Vito Comencini

La questione ucraina, seppur di molto silenziata in queste settimane dal conflitto israelo-palestinese, pone al centro del dibattito politico l’ipotesi dell’ulteriore allargamento dell’Unione Europea ad altri paesi aderenti, ma che per il momento sono in realtà semplicemente “candidati all’ingresso”.

Però, mentre l’ipotesi dell’entrata dell’Ucraina o di ciò che ne rimarrà alla finne della guerra, sembra alquanto fantasmagorica ed assurda, quella invece di far entrare nel “carrozzone eurocratico” i paesi balcanici, è molto più seria e va certamente analizzata attentamente. In primis c’è la richiesta di adesione della Serbia, paese ortodosso, storicamente e fortemente legato alla Federazione Russa, che non a caso oltre a non aver adottato alcun tipo di sanzione, ha al contrario mantenuto, o meglio ancora, rafforzato i rapporti politici, economici e soviali con gli amici russi. I voli da Belgrado per Mosca e San Pietroburgo continuano a funzionare alla grande, altrettanto l’interscambio commerciale, la “dipendenza energetica”, una grossa diaspora si è trasferita in Serbia dalla Russia e in cambio molti serbi si sono arruolati come volontari nelle fila dell’esercito russo. Tutto ciò, nonostante le enormi pressioni occidentali, con varie minacce, dispetti e ricatti, tra cui in particolar modo quello di stoppare l’ingresso nell’Unione Europea. Va considerato che rimangono naturalmente aperte le ferite della guerra ed in particolar modo dei bombardamenti della NATO su Belgrado, ma soprattutto la questione del Kosovo: per la stragrande maggioranza dei serbi è assolutamente inaccettabile l’ipotesi del suo riconoscimento e quindi la definitiva rinuncia a riprendersi quei territori. Per poter ambire ad entrare nell’Unione Europea, il presidente serbo Vucic è stato costretto ad avere a che fare fin da subito con il sistema impositorio, ricattatorio e pressante dei burocrati europei. In pratica si tratta a tutti gli effetti di un assaggio di quello che aspetta alla Serbia ed al suo popolo, nel caso in cui decidesse e riuscisse a fare questo passo verso “l’integrazione europea”.

Così oltre alle riforme atte a rendere il paese “più democratico” e quindi conforme agli “standard europei”, il presidente Vucic si è ritrovato a scegliere “liberamente” come premier Ana Brnabic, donna, ma soprattutto lesbica dichiarata, che convive con la sua “compagna”. Ecco così assaporato l’amara realtà europea odierna, che spetta alla Serbia. Già questo esempio sarebbe sufficiente per far capire che per un paese così, l’ingresso in Europa, sarebbe solamente una terribile trappola, da cui poi sarebbe molto difficile uscire indenni.

Ma passiamo ad un altro candidato: l’Albania, paese storicamente fortemente legato al nostro, dove non a caso adesso il premier Giorgia Meloni vorrebbe far alloggiare alcuni richiedenti asilo, dopo avere evidentemente preso atto del fallimento dell’ipotesi “blocco navale”, di fatto mai messa minimamente in atto. L’Albania sembra tra i più vicini all’ipotesi di ingresso nell’Ue e pare si sia notevolmente sollevato economicamente e socialmente, dalla miseria degli anni ottanta e novanta, quando gli albanesi erano loro stessi i così detti “migranti” o immigrati clandestini, che sbarcavano sulle coste italiche in cerca di “fortuna”. Oggi pare sia diventato invece pure una destinazione turistica per molti italiani, in cerca di una “nuova Croazia”, in cui spendere poco, ma trovare un’accoglienza discreta. Naturalmente anche l’Albania ha i suoi grossi ostacoli davanti. Innanzitutto interni con i livelli di corruzione e di criminalità organizzata poco o tanto invischiata con la politica ad un livello ancora molto elevato, la divisione religiosa e culturale, in particolar modo tra cristiani e mussulmani, seppur questi ultimi spesso un po’ “all’acqua di rose” e soprattutto un ordinamento giuridico ed un sistema giudiziario ancora parecchio distante dagli standard europei. Poi ci sono gli aspetti più esterni, ma non per questo di minore rilevanza, come i difficili rapporti con la Grecia per il trattamento riservato alla minoranza ellenica, che minaccia continuamente di porre un veto sull’ingresso albanese, i rapporti spesso contraddittori con i “fratellastri” kosovari e le influenze straniere, come quella della Turchia, che sui Balcani sogna ancora di poter realizzare il così detto “corridoio verde”. Tutte questioni di non poco conto, che dovrebbero essere elementi di serio confronto all’interno delle istituzioni e dei governi europei, ma che invece vengo prese con grande leggerezza, anche al punto di negare l’evidenza.

È chiaro che ai burocrati di Bruxelles interessa solamente inglobare altri paesi e quindi schiavizzare altri popoli, inquinare altre culture, smantellare le loro tradizioni ecc.. va poi anche considerato che oltre l’adesione all’UE, il passo successivo, come sappiamo purtroppo molto bene in Italia grazie a Romano Prodi, c’è la possibilità di entrare nel “meraviglioso” sistema euro. I cui risultati sono ancor oggi evidenti proprio per i nuovi aderenti, come la Croazia (a proposito di paesi balcanici), dove con l’entrata in vigore dell’euro l’inflazione è schizzata a livelli mai visti prima ed i croati iniziano giustamente a chiedersi quale sia stato il loro vantaggio nell’aver sostituito la kuna, con l’euro.

Si potrebbe fare perciò un’analisi più approfondita anche degli altri paesi “in lista d’attesa”, come Macedonia del Nord, Montenegro, Bosnia-Erzegovina, San Marino, Moldova ecc.., ma credo siano tutte facce della stessa medaglia, da cui si può rilevare in modo eclatante l’inganno ed il decadimento dell’Unione Europea, che assomiglia sempre di più a quello dell’Unione Sovietica. Quando cadrà questo muro? Difficile fare previsioni ed aspettarsi a breve altre Brexit, come quella appunto della Gran Bretagna, di cui molti sembrano essersi già scordati. Ma è però evidente che il “carrozzone eurocratico”, è sempre più vicino ad un bivio ed altrettanto lo sono i governi dei paesi membri ed i popoli prigionieri in questa gabbia ideologica e per certi versi perversa.

Sta di fatto che tutti questi elementi abbastanza rilevanti, dovrebbero indurre questi paesi a frenare il prima possibile il loro ingresso, per evitare di trovarsi intrappolati in una prigione, che sta già facendo abbastanza danni al resto del Continente Europeo e da cui dobbiamo invece sperare di uscirne noi il prima possibile.

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