di Alessandro Cavallini

Negli ultimi anni, a seguito prima del Covid e poi del conflitto russo- ucraino, in Italia (come nel resto del mondo) l’inflazione ha avuto una vertiginosa impennata. Come sempre a rimetterci sono state le fasce più deboli della popolazione che si sono viste erose in modo proporzionale il proprio potere d’acquisto. Nessuno ha fatto proposte alternative per tentare di porre almeno un freno a questa ingiustizia. Eppure, in un passato nemmeno tanto remoto, vi erano dei meccanismi che intervenivano proprio in casi come questi.

Stiamo parlando della scala mobile, cioè un meccanismo che comportava l’adeguamento automatico dei salari all’aumento dei prezzi dei beni di consumo. Uno strumento di giustizia sociale che risaliva addirittura al 1945, a seguito di un accordo tra Cgil e Confindustria, e che fu ulteriormente potenziato negli anni Settanta. Poi però, col diffondersi del modello liberista sfrenato alla Tatcher e alla Reagan, fu sottoposto a numerose critiche. Secondo alcuni economisti la scala mobile era a sua volta complice dell’aumento dell’inflazione, non essendo ancorata anche all’eventuale aumento del Pil. Se quest’ultimo non aumentava, a crescere era solo la massa della moneta circolante senza un corrispettivo aumento di reale ricchezza prodotta. E così il 14 febbraio del 1984 il governo Craxi decise un taglio di tre punti percentuali del meccanismo. Il mondo operaio scese subito in piazza per protestare e, supportato dal Pci, riuscì a proporre un referendum per chiedere l’abrogazione del “decreto di San Valentino”. Gli italiani però, ubriachi del modello yuppies allora imperante e del liberismo più feroce, bocciò l’abrogazione con un sonoro 54,3 per cento di no. In seguito, il 31 luglio del 1992 il governo Amato abolì definitivamente la scala mobile.

Certamente quello strumento, come tutti, aveva anche dei difetti e dei lati negativi. Però era anche un ottimo meccanismo di eguaglianza sociale che permetteva una certa redistribuzione della ricchezza dalle imprese ai lavoratori. Oggi sarebbe quanto mai necessario uno strumento simile ma i sindacati sono più impegnati ad abbaiare ad un (presunto) pericolo fascista e a condannare i lavoratori che a suo tempo hanno avuto il coraggio di non sottomettersi al ricatto del Green Pass, che a trovare soluzioni reali e concrete di giustizia sociale. Nel frattempo, purtroppo, la ricchezza della nostra Nazione continua a diminuire e sono sempre di più i poveri, anche tra chi ha uno stipendio fisso che però viene continuamente eroso dagli aumenti esponenziali ed infiniti dei prezzi dei beni di consumo.

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