di Simone D’Aurelio

Chi può mediare la realtà? Da studente di filosofia la mia domanda sembra essere pretenziosa, o semplicemente vana, ma tenterò di dimostrare che una speranza di risposta a questo interrogativo è possibile solo ed esclusivamente tramite la religione.

L’ombelico del mondo infatti, dovrebbe essere quella fonte primaria da cui poi parte tutto il resto, quel punto unitario su cui si modella la società, l’uomo e i relativi enti, intendo quindi un nodo, un archetipo, una base, su cui è costruita l’intera impalcatura che genera contenuto per le nostre vite. Il cuore della nostra società contemporanea è la finanza e l’economia, ed è un processo evidente e anche apodittico, la dimostrazione c’è nel fatto che ormai ogni cosa viene inserita e gestita nel mercato; inoltre i criteri valutativi di realizzazione e di felicità e anche le relazioni sono rinchiuse nelle formule economiche e matematiche, dove tra finanza sovranazionale, metadati, utilitarismo e materialismo si regolano le dinamiche individuali e della collettività.

Se lo zeitgeist ci parla un solo linguaggio numerico, prevedibile, monodimensionale, e se il mercato è il centro del mondo, oggi dobbiamo ripensare alla religione come il vero e unico possibile archetipo da cui ripartire. La nozione di verità metafisica svelata nella religione, oggi viene sostituita dalla nozione di utilità tramite l’economia, la ricerca di significato è assorbita dal concetto di disponibilità, al concetto di agire secondo discernimento viene prima il fare di ordine tecnico e pragmatico.

Il medium economico oggi è messo al centro di tutto e si dimostra di essere un Re Mida che si muove al contrario: discioglie qualsiasi cosa tocca, anche le lingue ne sono una dimostrazione dove l’inglese dei mercati ormai precede l’italiano, dove evaporano i rapporti famigliari e di prossimità e si creano degli individui cosmopoliti senza legami sans frontiers in dialogo solo per l’utile, ma si discioglie anche la natura umana ormai relativa, così come la cultura che viene
assorbita dalla sua cancellazione o rivisitazione secondo le esigenze contemporanee. Non possiamo menzionare il cibo, i ritmi di vita, la concezione di tempo, l’architettura e lo sviluppo degli enti e della giurisprudenza: tutto è stato inglobato e colpito da uno schema matematico economico e sovranazionale che in pochi decenni ha creato già una certa omologia tra le città europee (tra l’altro sempre più care e caotiche) e i suoi cittadini, che sono sempre meno italiani ma anche poco europei, dato che l’unione è solo mercantile, e presto il progetto vuole estendersi in tutto il pianeta.

Di fronte a questo scenario solo la religione, può riprendere in mano le sorti di ogni popolo ed essere l’unico vero mediatore del reale, e l’unico ombelico del mondo. Bene e male, vero e falso, valore e disvalore, senso e insignificanza, giustizia e ingiustizia, scienza e insipienza, sono concetti perseguibili solo nella realtà religiosa, dove il mondo per analogia si ispira a questa base, e la storia della filosofia ne è testimone. Il bene, per essere concepito, non può essere un semplice calcolo utilitario che rende relativo il tutto, così come la morale non può essere staccata dall’etica, mentre la nozione di verità per avere un suo fondamento deve avere per forza una radice metafisica e religiosa, quindi assoluta, e non può essere separata dalla giustizia. Solo la religione, in quanto rivelazione, inizio e fine del reale, e anche autorità suprema e ultimo criterio di validità sul reale è in grado di essere il centro del mondo e il suo unico e vero mediatore, il “ponte” in grado di collegare e regolare tutto, nessun’altra scienza si può rivestire di queste potenzialità. Le nozioni di valore, di vero, di bene, di trascendenza, di giustizia, di virtù, di bellezza, di azione sono infatti possibili solo se sono unite, non ci può essere un mondo che si basa sulla menzogna che può essere anche “giusto”, come non ci può essere un mondo virtuoso senza il “bene”.

Le nozioni devono essere anche trascendenti, ed esistere nel tempo ed oltre esso, e non possono essere semplici simulazioni, pena la falsità e l’inesistenza totale di ogni cosa, e per esserci, possono esistere da sempre e per sempre solo e soltanto in Dio nella loro potenza e nella loro sintesi di forma e contenuto, la stessa nozione di prevedibilità delle scienze empiriche è preceduta e sorpassata dal concetto di necessità all’interno del reale, che pone come questione primaria il discorso teologico. Proprio partendo da ciò ogni popolo può riprendere dalla propria tradizione teologica e scoprire i mos maiorum, gli orientamenti e i fini su cui si deve fondare la società e le stesse discipline come l’economia (che rappresenta il mezzo e non il fine della vita), arrivando a coniugare sacro e profano, lecito ed illecito, giustizia e ingiustizia, politica e demagogia, sapienza e stoltezza, realizzazione e disgrazia. Nessun’altra materia e scienza può in sostanza dare forma al mondo reale, profano, transitorio, contingente, perché nessun’altra può essere in grado di studiare Dio, la base della possibilità, dell’esistenza, dell’Essere e del divenire e nessun’altra può fare una
sintesi e ri-legare a se le scienze e il reale in tutti i suoi ambiti.

Qualsiasi schema che non è religioso e viene posto come cuore pulsante della società non è in grado di abbracciare il reale e ri-legarlo a sè, si pensi ai fallimenti dello scientismo, del positivismo, del materialismo, ma anche a quelli del
consumismo e del mercantilismo, tutto scorci del reale che per limiti di metodo, di profondità e di oggetto degli studi non sono in grado di collegare il reale, generando utopie distopiche.

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