di Ruggiero Capone

Non serve protestare contro il vertice di Davos, perché il serpente tecnologico-finanziario non va affrontato frontalmente, aggredendo il maniero del World Economic Forum. Perché nessun movimento antagonista può dirsi in grado di fronteggiare tecnicamente e con la forza i sistemi di sicurezza di cui dispongono i “potenti della Terra”.

Diversamente è possibile costruire una classe politica ed imprenditoriale che non risponda alle regole dei vertici planetari, persuadendo la gente che è possibile produrre ed agire infischiandosene di obblighi europei e “consigli” dell’ONU. Ma per costruire questa strada politica necessita che la gente tutta prenda a fischi, sputi e pernacchie televisioni ed informazione “istituzionale”. Rammentando che il World Economic Forum è stato organizzato cinquantatré anni fa a Davos perché i servizi segreti occidentali consideravano il suo antesignano, il “Club di Roma”, vulnerabile a proteste e giornalisti non proni al sistema.

Infatti, quando nell’aprile del 1968 apriva i battenti il “Club di Roma”, come associazione non governativa (una Ong dell’epoca) il primo ad essere invitato dai fondatori (Aurelio Peccei ed Alexander King) era Henry Kissinger, che proprio quell’anno s’era introdotto nei vertici dell’intelligence Usa: Nel 1968 Kissinger si era messo in luce tra i poteri mondiali per essere riuscito ad attutire e mediare lo scontro tra Nelson Rockefeller (governatore di New York) e Richard Nixon. Antefatto che poi permetterà a Kissinger d’assurgere a segretario di Stato Usa, a vero puparo della presidenza Nixon. Fu proprio il potente Kissinger a sottolineare quanto il “Club di Roma” risultasse vulnerabile al mondo dell’informazione, permettendo così la gente conoscesse i progetti dei padroni del mondo. Henry Kissinger è morto centenario da un paio di mesi, ed oggi il problema della controinformazione spaventa anche il World Economic Forum, al punto che lo stesso suo patron Klaus Schwab ha parlato dei media “non istituzionali” come dannosi alle politiche planetarie, ai progetti finanziari, poiché creerebbero tensioni tra popolo e potere: Schwab ha portato come esempio proprio le proteste contro le multinazionali farmaceutiche sotto pandemia, come le informazioni in rete contro i poteri bancari.

La missione del “Club di Roma” era di fatto la stessa di Davos: riunire economisti, scienziati e uomini e donne d’affari, per farli incontrare con professionisti della politica, attivisti dei diritti civili, alti dirigenti pubblici internazionali e capi di Stato di tutti e cinque i continenti. “Club di Roma” e Davos con la stessa missione: catalizzatori dei cambiamenti globali graditi alle multinazionali, individuando i principali problemi che l’umanità contrapporrebbe alle decisioni dall’alto. Per questo motivo sia il “Club di Roma” che il World Economic Forum hanno organizzato fin dal sorgere i cenacoli di pensatori dediti ad analizzare i cambiamenti della società e le ritrosie dei popoli. E’ lo stesso Olimpo che, nel 1968 si riuniva a Roma, presso la sede dell’Accademia dei Lincei di Villa Farnesina, ed oggi a Davos. Attualmente il “Club di Roma” ancora esiste: spostava mezzo secolo fa la propria sede ad Amburgo e poi recentemente a Winterthur; è dato solo sapere che il suo presidente (Eberhard von Koerber) collabora attivamente con Klaus Schwab per organizzare i conciliaboli riservati di Davos, a cui accedono solo i veri “potenti della terra”; al resto degli invitati al WEF non rimane che accontentarsi delle riunioni cumulative, ovvero di chiacchiericcio e saluti.

Klaus Schwab ovviamente ha mille chance in più rispetto al vecchio Aurelio Peccei, infatti entrava in contatto con Kissinger nel 1967: in quel periodo Klaus frequentava negli Usa il “Master in Pubblica Amministrazione” presso la “John Fitzgerald Kennedy School of Government” dell’Università di Harvard. In pratica Schawb ha goduto degli stessi percorsi occidentali del compianto Gianroberto Casaleggio: ricordiamo che quest’ultimo era stato cooptato al master presso la “high school of Langley”. Siamo a cospetto di gente a servizio della novella corte, che ha sostituito le finte democrazie nei discutibili settantanni di pace europea. Certo i lettori prenderanno quanto scritto come un lungo preambolo, ma assai utile a comprendere quanto il problema italiano sia un problema mondiale. Ovvero che la tanto sbandierata “autodeterminazione dei popoli” è soltanto una favoletta per ingenui adolescenti. Infatti la maggior parte degli uomini teme dover rivendicare le proprie libertà rispetto ai signori dei “conciliaboli internazionali”. Poi gran parte dei politici sono dei parvenu nei salotti internazionali, si sciolgono a cospetto di Klaus Schwab e Ursula von der Leyen.

Infatti il vero obiettivo di Davos 2024 è stato contare le forze per la riconferma di Ursula von der Leyen a governatore occidentale dell’Ue. Programma politico noto da mesi ed avallato dai sostenitori di Joe Biden. Nulla di nuovo sotto il sole delle Alpi svizzere. Infatti, proprio a Davos 2019 i potenti dell’intelligence “democratica” s’incontravano per ordire la truffa elettorale in danno di Donald Trump: alla congiura partecipavano anche vertici d’una struttura italiana che ha gestito grossa parte del voto statunitense all’estero. Ben si comprende come il bene dell’Italia non passi dal WEF, soprattutto al Belpaese verrà presentato un conto salatissimo qualora non tramontasse l’era von der Leyen. E il centro-destra italiano non può assolutamente cullarsi sugli allori, perché proprio da Davos sono arrivate alla segretaria Pd Elly Schlein le conferme di futuri “aiuti elettorali”, probabilmente della stessa tipologia di quelli che permisero la sconfitta di Trump. Ma chiudiamo in bellezza con un aneddoto. Due giorni fa, in un bar del centro di Roma, lo scrivente parlottava scherzosamente di Davos con un dirigente ministeriale. Il tipo s’è subito irrigidito ed ha cambiato umore: “non parlare in pubblico di Davos, di Klaus Schwab, dei potenti della Terra…potrebbero intercettarci…io ho un lavoro, una carriera!”. Un po’ come il colonnello Buttiglione di film e barzellette che, per chiedere del bagno, domandava con voce austera “dov’è la ritirata?”.

Fonte: La pekora nera

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