di Redazione
«Guardiamo al caso della giovane “Marco” con apprensione, perché è una storia di sofferenza e inganni. Nonostante gli ormoni con cui è stata bombardata, nonostante la barba, la mastectomia che ha subìto e la sentenza del tribunale, questa giovane resta una donna, che assomiglia ad un uomo. Non può essere, infatti, il nostro aspetto o il nostro modo di vestirci, né una sentenza, a definirci. A “Marco” questo non è stato detto, ma è stato fatto credere il contrario, soprattutto che la transizione sarebbe stata l’unica risposta valida ai suoi dolori, alla sua confusione. Un modus operandi, tra l’altro, non solo pericoloso ma anche ormai anacronistico, se pensiamo che i paesi un tempo pionieri proprio nella transizione, come Gran Bretagna, Australia, Svizzera, Norvegia, Svezia, Finlandia, Danimarca, Olanda e buona parte degli stati degli Usa, stanno invece ora facendo marcia indietro sulla transizione di genere, addirittura chiudendo le cliniche come il Tavistock Center di Londra al centro di un pesante scandalo. Tutto ciò ci insegna che le ideologie non fanno altro che mettere a rischio le vite delle persone e, in questo caso, di “Marco” e del piccolo che porta in grembo. Per la loro salute e di tutti quelli che vivono situazioni simili bisogna semmai stare loro accanto, accompagnarli, accogliere il loro dolore e le loro paure e rassicurarle, perché la natura non sbaglia e nessuno “nasce nel corpo sbagliato”». Così Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita & Famiglia onlus.