di Gloria Callarelli (foto: Navalnya – Tsargrad.tv)
La morte di Alexei Navalny coincide con la conferenza sulla sicurezza di Monaco, una specie di riedizione di Davos, dove i leader di 50 Paesi si riuniscono per parlare di sicurezza (?) internazionale.
L’ennesimo palcoscenico mondialista, dunque, è stato il teatro dal quale esprimere il cordoglio per la morte di Navalny e il contemporaneo “J’accuse” a Putin. Un teatro, appunto, dove è apparsa persino, con tempismo macabro perfetto, la vedova Navalnya che ha pronunciato un discorso volto a stigmatizzare le gesta di Putin e dove si è distinto in particolare, oltre al presidente Biden, il segretario di Stato americano Blinken, che ha così approfittato del terreno fertile per colpevolizzare il presidente russo e insistere su una guerra, quella in Ucraina, che si rivela ogni giorno di più deleteria, sucida e immorale. Il tutto a pochi giorni dall’intervista di Carlson allo stesso leader russo, una mossa mediatica da urlo per l’area vicina ai repubblicani.
Il blogger, secondo quanto riporta Tsargrad, è stato visitato da tre persone nelle ore precedenti la morte. L’avvocato e i genitori, che lo avevano trovato in buone condizioni. Per il medico Denis Prokofiev una morte del genere non può essre indotta con farmaci o azioni fisiche. Cui prodest, comunque, la morte di Navalny? Certamente non alla Russia, già additata quale male assoluto per il mondo occidentale. Un mondo occidentale che, mentre si straccia le vesti per la morte di Navalny, nulla dice per un Assange che, dopo aver denunciato i crimini degli Stati Uniti, resta detenuto e in condizioni psicologiche e fisiche al limite della tortura. Come al solito due pesi e due misure.
La campagna elettorale americana intanto prosegue: da qualsiasi palcoscenico, con qualsiasi “attore”. Che piangano o che ridano l’imperativo è sempre lo stesso: lo “show” mondialista deve andare avanti.
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