di Francesca Romana Poleggi
Planned Parenthood colta sul fatto a vendere parti di bambini abortiti. Questa volta si tratta di fegati, al prezzo di 1.500 dollari l’uno.
Steven Ertel, su Life Site News, ci rende nota la nuova denuncia del giornalismo investigativo negli Usa.
Oltre una dozzina di video, che noi abbiamo accuratamente riportato a suo tempo, nel 2015, raccontavano di come la più grande azienda americana di aborti venda illegalmente parti del loro corpo alle università per ricerche macabre e non necessarie. Alla fine, i funzionari di Planned Parenthood hanno ammesso sotto giuramento di averlo fatto, anche se i giornalisti autori dell’indagine hanno subito una persecuzione giudiziaria inimmaginabile (per violazione della privacy, non perché abbiano mostrato il falso). E infatti il Center for Medical Progress non aveva potuto pubblicare questi filmati finora a causa di un’ingiunzione federale a favore della Planned Parenthood.
Ora, sono stati proiettati al Congresso. Mostrano, oltre al mercimonio, i funzionari che per il business spiegano come prelevare gli organi per nascondere le violazioni della legge federale sull’aborto a nascita parziale (cioè aborti tardivi fino al nono mese). Il funzionario medico capo di Planned Parenthood Gulf Coast, la dottoressa Ann Schutt-Aine spiega: «Se ho paura che stia per arrivare all’ombelico [dove l’aborto a nascita parziale è vietato], con un secondo set di pinze tengo il corpo nella cervice e stacco una gamba o due, quindi tecnicamente non è più aborto a nascita parziale».
In un altra clip , la dottoressa Uta Landy, direttrice nazionale dei programmi di formazione sull’aborto di Planned Parenthood, del Ryan Residency Training Program e della Fellowship in Complex Family Planning, legge i commenti dei tirocinanti traumatizzati psicologicamente dall’esecuzione di aborti con smembramento a un pubblico di diversi centinaia di fornitori di aborti tardivi. Tra gli altri, uno ha detto: «Un bulbo oculare mi è caduto in grembo, ed è disgustoso» e il pubblico scoppia in risate e applausi.
Solo due dei tanti esempi disgustosi che non vogliamo fare.
Ma un momento: sono disgustosi solo se riteniamo che quel piccolo nel grembo materno sia un essere umano. Sè è solo un “prodotto del concepimento”, in fin dei conti, che male c’è? Perché non possiamo farlo a pezzi e guadagnarci su qualche migliaio di dollari?
Fonte: ProVita e Famiglia
La fiorente attività della Planned Parenthood e l’espansione del mercato della predazione dei tessuti fetali non si spiegano solo con la logica capitalistica del profitto a tutti i costi e con la concezione materialistica della vita che nega al piccolo nel grembo materno lo status di essere umano. Alla base c’è un’idea ancor più perniciosa: c’è l’idea che tutti gli esseri umani siano potenzialmente sacrificabili, che debbano essere trattati come l’individuo rispetto alla specie; per cui, affinché la specie si salvi o anche perché possa trarne un (vero o presunto) beneficio, alcuni individui devono essere sacrificati, è necessario ucciderli. La più eclatante manifestazione di quest’idea zoologica dell’umanità l’abbiamo avuta negli scorsi anni con la riduzione a cavie da laboratorio di miliardi di persone, indotte dalla propaganda o costrette dal ricatto economico, a inocularsi un siero genico sperimentale ottenuto con l’utilizzo di linee cellari di feti umani abortiti volontariamente. Questa è la “civiltà” dei sacrifici umani.