di Ruggiero Capone

Qual è oggi il rapporto tra uomo di strada e istituzioni? E su che basi poggia la reciproca diffidenza? Soprattutto il pubblico funzionario sospetta d’evasione fiscale chiunque non abbia vinto la lotteria di un contratto da dipendente, di logica conseguenza il magistrato vede come non limpida l’esistenza del cittadino che non possa dimostrare d’essere in possesso d’un contratto di lavoro.

In questo tourbillon infernale, milioni d’italiani, non inquadrati nelle caste dei magistrati o dei pubblici dipendenti, cercano quotidianamente di salvarsi da fisco e tribunali, indagini e molestie varie perpetrate dalla pubblica amministrazione. Poco prima della Rivoluzione Francese il viceré Domenico Caracciolo aboliva l’Inquisizione nel Mezzogiorno: così nel marzo del 1782 terminava il peregrinare dei “magistrati inquisitori” nelle varie plaghe del Regno di Napoli.

Alla base di questa scelta del lucido politico napoletano (non per nulla era il laico di fiducia del Re) c’era l’aver notato l’insofferenza dei sudditi verso l’aumento di tasse e gabelle varie, che comunque si confermavano le più basse del Vecchio Continente. Terminavano così i viaggi degli inquisitori alla volta di mete allora distanti giorni di cavallo e navigazione, come Catania, Messina, Trani e Brindisi: città particolarmente tenute d’occhio per via dei traffici di merci dai rispettivi porti, e con relativo aumento delle ricchezze disponibili per le popolazioni locali. Si viveva in epoche in cui le credenze popolari potevano facilmente far propendere l’arricchimento come prova d’influenza di pensieri eretici, diabolici.

Scusa ufficiale per far muovere l’inquisitore che, di fatto, riassumeva in sé ben altri compiti che scacciare il Maligno: il magistrato aveva l’autorità d’avocare a patrimonio di Chiesa e Regno gli averi di chi si era arricchito grazie a commerci e attività lucrose di vario genere. Non è un caso che i migliori inquisitori, tutti di discendenza spagnola, provenissero dalle migliori scuole filosofiche e matematiche di Barcellona, Siviglia, Granada… dove grazie alla forte cultura araba avevano maturato profonda conoscenza della matematica finanziaria. E desta non poco stupore notare come l’incarico ricoperto dall’inquisitore presenti non poche similitudini con gli attuali compiti dell’Agenzia delle Entrate.

Oggi c’è un computer ed un algoritmo che provvedono a calcolare chi starebbe troppo lavorando e fatturando, mentre dal ‘400 al ‘700 l’incombenza era tutta per la mente umana, era il compito principe del magistrato inquisitore. Racconto che sfata la credenza popolare che ha spacciato gli inquisitori come invasati ignoranti, di fatto erano colti filosofi e matematici a servizio di Re e Papato. Ma le esperienze dell’epoca hanno sedimentato nelle popolazioni la convinzione che le ricchezze vadano nascoste, occultate, non ostentate, e solo i gran signori abbiano titolo e protezioni che permettano loro d’attraversare i centri urbani con lussuose carrozze o di fare feste sfarzose: anche allora il lusso era concesso a pochi.

Regole ancora valide: tutt’ora il lusso si conferma indice d’illecito arricchimento perpetrato dalla gente comune. Ostentare povertà di risorse è da centinaia d’anni una sorta di prova concreta di bontà, di spiritualità: per esempio, in un popoloso comune della Puglia c’erano i famosi “pezzenti di Bitonto”, noti per ostentare sfarzo nella propria comunità per poi vestirsi da mendicante quando dovevano viaggiare per affari alla volta di Bari o Trani.

All’inquisitore come all’attuale Agenzia delle Entrate non preme fare giustizia, bensì scoprire innanzitutto le malefatte economiche del suddito: quindi dimostrare al potere d’aver spogliato di ogni bene chi ha saputo fare tanti quattrini, soldi non bastevoli comunque per accedere alle grazie della corte. Troppo spesso si è pensato che inglesi e fiamminghi (i protestanti) fossero i più precisi ragionieri e studiosi di finanza; e questo dimenticando che le corti cattoliche di Spagna, Francia e Austria potevano contare sulla grande esperienza matematica ereditata dai mori.

Che con l’Inquisizione era meglio porsi come poveri sprovveduti ce lo rammenta anche San Francesco da Paola. L’ignoranza e la povertà non hanno mai scatenato l’ira del potere o il sadismo del pubblico funzionario. Ieri il vicereame aragonese di Napoli pullulava d’improvvisati spadaccini a servizio di chi offrisse pochi soldi, alloggio e cibo; picari, avventurieri, pendagli da forca, spesso indegni di servire il re nelle guerre, ma qualcuno di loro (a Napoli come a Milano) poteva anche ripulirsi per servire gabellieri ed inquisitori. In quell’Europa morire era facile almeno quanto oggi finire in povertà. Comunque, ancor oggi l’Italia è il luogo dove, dalla caduta di Roma, si è costretti a farsi il segno della croce ogni volta che si sortisce di casa o si cerca di lavorare, e perché la Provvidenza badi al nostro cammino salvandoci dalle aggressioni del potere. Il giovane Francesco da Paola camminava ai bordi di un sentiero impervio, quando assisteva ad un sopruso consumato dagli armigeri di un nobiluomo. Anche a quei tempi era sconsigliato essere in bella vista al centro delle strade, perlopiù battute da gente assetata di monete e sangue.

Quindi anche il Santo si teneva riparato lungo la vegetazione di bordura. E notava che dei cavalieri s’erano fermati ad interrogare della povera gente di campagna: uomini indifesi, che facilmente venivano accusati dal potere d’ogni nefandezza. La carrozza trasportava un nobile accreditato alla corte aragonese. Francesco non riusciva a scorgere chi fosse il notabile, poiché travisato dal drappeggio che copriva la sortita della carrozza. I cavalieri avevano fare ribaldo, da conquistatore. Parlavano con voce alta e sicura, con accento vergato di spagnolo: volevano sapere dalla gente del posto dove poter incontrare un guaritore. Probabilmente cercavano un mago delle zone montane, la cui fama aveva raggiunto la capitale del regno. Cercavano una persona che, pur avendo una vita morigerata e nel rispetto di Cristo, si procurava da vivere con vecchie stregonerie che si tramandano sui monti incantati della Calabria sin dalla notte dei tempi. Il capo delle guardie porgeva una manciata di tornesi, così alcuni servi dei campi facevano strada a signore e cavalieri. L’uomo che cercavano aveva tempo prima raccontato a Francesco l’uso medicinale di alcune erbe: segreto visto all’epoca come un fenomeno soprannaturale. Il giovane Francesco userà poi quelle essenze comuni per guarire un ragazzo di buona famiglia, affetto da piaga definita incurabile dai medici di Napoli.

Francesco notava che la carrozza s’era fermata lungo un sentiero non lontano da lui: quindi si nascondeva ed osservava. Armigeri e nobiluomo stavano parlando animatamente con il guaritore della montagna. Quest’ultimo consegnava loro una sorta di sacchetto, all’interno probabilmente un rimedio. Quindi il signore risaliva in carrozza, mentre i cavalieri facevano solo finta di ripartire. Quindi passavano a fil di lama mago e gente locale che aveva fatto loro strada; poi sottraevano alle vittime i tornesi donati ed al mago eventuali ricchezze.

Pochi giorni dopo si narra sia passato per quei posti l’inquisitore diretto in Sicilia, e che la gente del posto abbia chiesto al funzionario che venisse fatta giustizia: ma il magistrato conveniva con i suoi collaboratori che comunque una sorta di legalità era stata restituita, avendo gli armigeri sottratto ricchezze a mago servi. Quindi riprendeva il viaggio alla volta di Messina e Catania, per analizzare il perché dei troppi patrimoni in mano ad armatori e mercanti.

Il fine della storiella non è certo allietare o annoiare il lettore, ma far maturare in lui la convinzione che a nessuno preme davvero fare giustizia. Soprattutto la giustizia non è quella che sventolano certi quotidiani: nati come venduti al potere, che scrivono di risposte di Mattarella a Scarpinato, o di fiaccolate in onore dell’antimafia che sanno tanto di recite. Quei quotidiani blasonati, e ficcati in tutte le rassegne stampa, li leggono meno di duecento mila italiani. Li leggono i discendenti dell’Inquisitore prima di entrare in uffici e tribunali, li sfogliano al bar mentre parlottano con i loro simili di carriere e trasferimenti. Poi per tenere alta l’immagine pubblica e sociale: tre secoli fa parlavano ai popoli del ruolo dell’Inquisizione, mentre oggi fanno convegni su evasione fiscale e criminalità organizzata. Probabilmente augurando lunga vita a mafia ed evasione. E a qualcuno era sorto anche il dubbio che la mafia fosse alle dipendenze del cattivo Stato sommerso.

Fonte: opinione.it

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