di Niccolò Ruscelli

Nel tempo antico, quando gli dei danzavano tra le stelle e la Terra era avvolta dall’incanto dell’ignoto, gli uomini vivevano nell’ombra di un mistero ancestrale. Raccontavano di una caverna, non come quella narrata dal saggio Platone, ma una più sottile, tessuta dai fili dell’ingegno umano. In questa caverna tecnologica, l’uomo diventò artefice della sua stessa prigione, plasmando le pareti con schermi luminosi e creando ombre digitali a suo piacimento. I suoi occhi, avidi di conoscenza, si spensero nel riverbero bluastro delle schermate, mentre le sue mani, una volta forti e capaci, si trasformarono in debole estensione dei dispositivi che lo avvolgevano. Ma il destino dell’uomo non si fermò qui. Come ironia del destino, la tecnologia, che avrebbe dovuto emanciparlo, si trasformò in catene invisibili che lo legavano sempre di più alla sua creazione. L’onnipotenza della rete divenne la sua prigione dorata, dove le informazioni fluttuavano liberamente ma la sua mente era confinata in un labirinto di algoritmi. 

E così, mentre l’uomo danzava con i fantasmi della sua creazione, dimenticava la vera luce del sapere, imprigionato nell’illusione di una conoscenza senza fine. La caverna di Platone, con le sue ombre danzanti, sembrava ora un giardino di libertà rispetto alla gabbia dorata della tecnologia moderna, dove l’uomo era sia il creatore che il prigioniero, condannato a vagare nel labirinto delle sue stesse creazioni. Nell’essenza intrinseca dell’uomo risiede una temibile violenza, un’energia che scorre nel cuore di ogni vita, una forza primigenia che cerca sfogo. Ma le tecnologie dell’ozio, con la loro abile manipolazione delle nostre emozioni, trasformano questa rabbia in un’infelicità esistenziale, deviando il corso naturale della nostra essenza. In una danza feroce di maschere e menzogne, l’uomo si sforza di fingere la felicità, di nascondere la sua vera natura dietro un velo di falsa gioia.

L’avvento della tecnologia ha tessuto un arazzo artificiale nel tessuto sociale, un manto non più riflessivo della realtà ma certamente più ambito. Tale tessuto ha innescato funzioni ancestrali nell’animo umano: il desiderio di possedere e l’impulso all’omologazione. Questi istinti hanno prevalso sulle fisime che tale innovazione comporta, plasmando così nuove dinamiche nella società moderna.

Sono sempre stato affascinato dal panteismo e dalle culture orientali. Secondo alcune correnti di pensiero, Dio è la natura, e il segreto della felicità per l’uomo è la vita in armonia con essa. La tecnologia indubbiamente ha portato molti vantaggi all’umanità. Il mondo è cambiato molto rispetto a un secolo fa… se è vero che abbiamo tutto a portata di click, è anche vero che ci ha reso pigri, incapaci di compiere molte attività, fino a 100 anni fa basiche, oggi considerate addirittura “arti” da quanto siano “inutili e difficili” (penso alla calligrafia, al ricamo…). Dal punto di vista psicologico, ha devastato l’umanità. Siamo sempre più soli, incapaci di rapportarci con gli altri, sempre più diffidenti. Sempre meno capaci di pensare con la nostra testa.

Questa società capitalistica consumista ha come unico obiettivo il profitto e il guadagno, non il miglioramento dell’umanità. Invece di essere un trampolino verso la libertà, questa tecnologia è finita per diventare una ulteriore catena.

Le informazioni online sono usate dai grandi gruppi finanziari per veicolare messaggi e creare diffidenza verso il prossimo (i grandi monopoli dei media, notizie e social network…). Le famose lotte per la libertà degli anni passato sono diventate col tempo propaganda, le notizie plasmano le menti e instillano timore verso determinate categorie. Piccolo esempio pratico, il femminismo ha generato odio verso gli uomini, aggiungiamo una distanza di base causata dalla mancanza di socializzazione portata anche dai metodi di comunicazione telematici… ed ecco che si hanno tantissime persone sole. Come in Blade Runner 2049. K (Ryan Gosling), solo al mondo e triste, si innamora di una ragazza ologramma, per poi capire che non esiste, che è un numero primo. Questo è il problema principale della tecnologia. Si è evoluta troppo velocemente, avanza, mentre noi non siamo al suo passo. Da cosa creata dall’uomo per aiutare, è diventata una chimera, una sorta di moderno Cthulhu cibernetico. Le persone si odiano nella realtà, ma online si fanno amici, si innamorano. Senza neanche sapere che volto abbia, con la possibilità che tale persona neanche esista. Siamo sempre più soli, e anche per questo oggi è sempre più comune sentire un mal di vivere, un Тоска (Toska) come si dice in russo.

Non sapendo con chi si ha a che fare, e con la mole di dati che gira, ci si è in qualche modo dimenticati del tempo. Mentre siamo online, le nostre vite passano, invecchiamo. Quando la vita scorreva lenta, secondo natura, c’era una differenza abissale tra anziani e giovani, nel modo di parlare, negli argomenti e interessi. C’era una consapevolezza quasi allegra del tempo che passava, un sentire di aver fatto una vita piena, di aver lasciato qualcosa di bello dopo di sé. Oggi invecchiare è visto come vergognoso, non si è più belli, non si prendono più like, tutti si fanno vedere come giovani. Foto ritoccate, rughe cancellate. Una gara a chi è più bello. Una persona che ha vissuto online, senza figli, senza aver costruito né lasciato nulla, la cui vita gli è scappata da sotto le dita, come pensate si senta, una volta realizzato che la sua vita è arrivata alla fine? Sicuramente non avrà quell’armonia con la natura degli anni passati.

Alcune distanze sono state ridotte, altre rese incolmabili. Siamo tutti bravissimi coi messaggi, ma di persona non siamo più allenati. Questa gara al più appariscente ha trascinato l’umanità nel baratro. Online si nota il bello e il ricco, non l’intelligente o il sensibile. Ed è ammessa un solo tipo di intelligenza e sensibilità, quella trasmessaci dai grandi gruppi finanziari, altrimenti si è pazzi, criminali, qualcuno da tenere lontano. Essendo livellati verso il basso, si cercano sempre più attenzioni per non sentirsi dei falliti, facilitati dal fatto che i messaggi così istantanei e che non prevedono dubbio e riflessione (come invece le lettere di un tempo) creino dipendenza. E così la gente si usa e getta. Si risucchia ciò che serve a se stessi e si butta il resto, contribuendo a questo clima di odio reciproco e diffidenza. Noi siamo il prodotto, il produttore e il consumatore, per il profitto di pochi e la sofferenza del popolo.

La vita un tempo era sicuramente più dura, ma anche più felice. Ci si godeva la bellezza di un tramonto sul mare, i profumi del bosco, gli animali, la natura, i colori della montagna, le stagioni… Dobbiamo lottare per riprendere in mano il mondo e le nostre vite, non rifugiarci online in preda alla delusione, anche se è la strada più facile e forse più comprensibile, visto lo schifo del mondo moderno che ci circonda. La posta in gioco è molto più grande della nostra individualità.

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