di Vincenzo Maida

Da qualche tempo, sia pure con minore intensità, perché probabilmente fa meno audience, dopo l’argomento del “femminicidio” i media hanno preso a martellare su quello degli infortuni e delle morti sul lavoro e temiamo che anche su questo saranno ininfluenti. È superfluo sottolineare che si tratta di fenomeni tragici che sconvolgono la vita delle persone e portano sofferenza vera nelle famiglie che sono colpite. Intanto vediamo alcuni dati.

A morire per infortuni sul lavoro sono soprattutto gli uomini, le donne rappresentano il 10%. Questo perché, a dispetto dell’uguaglianza e della parità dei sessi, vi sono differenze sostanziali ineliminabili sul piano fisico, per cui i lavori più rischiosi come il trasporto, l’edilizia, il lavoro nei campi con i mezzi agricoli, etc., vengono svolti principalmente dagli uomini. Non conosciamo donne muratori che salgono sulle impalcature ed è molto raro vederle guidare i tir o i trattori nei campi, giusto per fare qualche esempio. Rispetto al passato c’è stata una significativa diminuzione dei morti sul lavoro.

Negli anni ’80 i morti sul lavoro erano più di 3.000 l’anno rispetto ai mille odierni e Maurizio Ladini, il segretario della CGIL, in un’intervista sull’argomento al “Domani” del mese di agosto dello scorso anno, ha detto una cavolata quando ha affermato con la consueta saccenteria che: “nel nostro Paese ci sono in media tre decessi sul lavoro ogni giorno e che oggi si muore come si moriva trenta o forse quarant’anni fa.” Ovviamente anche un solo morto o un solo infortunio con danni permanenti è di troppo, ma temiamo che come per il “femminicidio” bisogna fare di tutto per contenere il fenomeno, ma esso è ineliminabile. La prevenzione rappresenta un momento importante, così come una adeguata progettazione e organizzazione dei sistemi di lavorazione, che tenga sempre presente la sicurezza con la fornitura di attrezzature idonee per il lavoro specifico. I controlli degli Ispettori sul lavoro vanno intensificati ed oggi, ha detto il Ministro del Lavoro e delle politiche sociali Marina Elvira Calderoli, “ne mancano dagli organici circa mille, e molto spesso, aggiungiamo noi, quelli in servizio vengono inviati sui cantieri a seguito di segnalazioni anonime fatte per dispetto o per invidia da ditte concorrenti.

La prima legge per l’assicurazione contro gli infortuni risale al 17 marzo 1898 n. 80, all’art. 4 prevedeva la formulazione di regolamenti “per prevenire gli infortuni e proteggere la vita e l’integrità fisica degli operai”. Il fascismo, nel corso del ventennio, sviluppò una normativa sulla tutela dei lavoratori. Con il Regio Decreto Legge 19 marzo 1923, n. 692 fu limitato a 8 ore giornaliere l’orario di lavoro degli impiegati e degli operai delle aziende industriali e commerciali e dell’avventiziato agricolo. Era una forma di prevenzione. Nel 1927, però, con la Legge 19 maggio 1927, n. 777, le aziende commerciali e agricole furono autorizzate ad andare in deroga alla norma del 1923 aumentando, nei fatti, a 9 ore l’orario di lavoro.

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