di Vincenzo Maida

Le ultime vicende giudiziarie, che hanno coinvolto il presidente della Regione Liguria ed alcuni suoi collaboratori, ripropongono un tema che investe tutta la nazione: quello del malaffare. Non tutti i casi sono registrati dalle cronache nazionali, molti infatti sono ormai relegati nella informazione locale, pur essendo di notevole gravità.

Infatti, nello stesso giorno in cui è stato arrestato Giovanni Toti, a livello nazionale la polizia economico-finanziaria di Torino e Matera, ha portato a termine una importante operazione che ha riguardato persone operanti in Italia, ma anche in Estonia, Repubblica Ceca, Polonia, Ungheria, Slovenia, Slovacchia e Belgio. Si parla di diversi milioni di euro, pare che ne siano stati sequestrati 52. Tra i 14 arrestati c’ìè anche un assessore del comune di Bernalda in provincia di Matera.

Secondo l’accusa attraverso una rete criminale, venivano introdotti e commercializzati ingenti quantitativi di olii lubrificanti per automezzi (autovetture e autocarri), destinati alla vendita al consumo, con pagamenti “in nero”, per evadere l’Iva e l’imposta nazionale prevista, anche con società prive di una reale struttura operativa su cui fare gravare i tributi dovuti. Tasse sistematicamente mai versate, con la predisposizione di sistemi per evitare controlli e sanzioni. Ad esempio, con la creazione e l’utilizzo di documenti fiscali con indicazione di soggetti inesistenti da utilizzare nell’eventualità di controlli durante il trasporto. Oppure, con la creazione di documenti di trasporto indicanti destinatari compiacenti, e di copie di bolle di accompagnamento realizzati tramite fotocopiatura a colori dagli originali, per la prima immissione in consumo con successiva distruzione delle copie (artificiosamente utilizzate nel percorso), una volta ultimato il trasporto, all’arrivo del carico a destinazione e in assenza di controlli lungo l’itinerario. Infine, con l’utilizzo di società costituite ad hoc per consentire acquisti in nero di olio lubrificante, diversamente indicato sui documenti di trasporto quale liquido lavavetri e shampoo.

È stato calcolato che soltanto la corruzione costa all’economia italiana almeno 237 miliardi l’anno. E la situazione potrebbe aggravarsi a causa di deroghe alle regole standard dovute alla necessità di accelerare procedimenti e acquisti pubblici. “Tangentopoli” ha distrutto i partiti che sono diventati “liquidi” ed hanno di fatto allontanato gli eletti, ormai “nominati”, dagli elettori. Dopo circa trent’anni la situazione complessiva del “malaffare” anziché migliorare è peggiorata e nella classe politica si è radicato un senso di impunità, come dimostrano le recenti vicende pugliesi, siciliane, laziali, etc.etc. Corruzione e concussione nella pubblica amministrazione sono ormai all’’ordine del giorno. Nella corruzione in senso generico il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio percepisce l’utilità in seguito ad un accordo con il privato, mentre nella concussione il pubblico ufficiale sfrutta la propria posizione di supremazia o potere per costringere o comunque indurre il privato a fare la sua volontà. Al Sud, infatti, è quasi prassi che un Ente pubblico appalti un servizio o un lavoro e poi costringa il vincitore della gara ad assumere chi segnala il politico di turno.

La società riflette l’illegalità della classe politica e se la criminalità organizzata fa tacere le armi e spara molto di meno che in passato, il malaffare, dal traffico degli stupefacenti all’infiltrazione negli appalti della pubblica amministrazione, è cresciuto anziché diminuire. Se fossimo certi di avere un personale giudiziario all’altezza del compito, dovremmo sperare, dopo trent’anni, in una nuova ventata giustizialista, e contestualmente dovrebbe emergere una nuova classe politica che potrebbe avere largo spazio in quell’opinione pubblica e in quell’elettorato che non si sentono più rappresentati.

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