di Mattia Taricco
Il sistema spinge, attraverso la propria propaganda, sulle tematiche fintamente green e pro LGBTQ+ è ormai noto. Può però non risultare abbastanza chiaro che questo fenomeno vada poi a influire anche sulle scelte dei consumatori, che potrebbero avere la finta convinzione che comprando prodotti o servizi vadano in qualche modo a salvaguardare l’ambiente o a promuovere l’uguaglianza sociale. Accantonando per un attimo il fatto che né le politiche green tutelino effettivamente l’ambiente né la comunità LGBT protegga dei diritti o la libertà di qualcuno, ciò che preme analizzare è il cosiddetto fenomeno del “GreenWashing”: un termine che descrive le pratiche ingannevoli utilizzate dalle aziende per apparire ecologiche o socialmente responsabili, sfruttando la propaganda e l’inconsapevolezza delle persone per vendere di piu.
Il GreenWashing si riferisce a strategie di marketing adottate dalle aziende per apparire ambientalmente sostenibili senza implementare cambiamenti significativi nel loro operato. Questa pratica può includere l’uso di etichette ecologiche, pubblicità ingannevoli e dichiarazioni ambientali false o esagerate. L’obiettivo è convincere i consumatori che l’azienda stia lavorando in favore dell’ambiente, quando in realtà i suoi comportamenti e pratiche rimangono nocivi.
Stessa cosa sul versante LGBT, non è infatti un asterisco o un bagno neutro a rendere qualcuno libero, anzi, probabilmente è il contrario. Il primo caso eclatante di “Greenwhashing”, unito a un brainwhasing di massa, è la spinta verso l’auto elettrica, mostrata dalle case automobilistiche come una vera rivoluzione in materia green, nascondendo però dietro di se schiavismo nelle miniere di Litio per produrre le batterie e enorme inquinamento ambientale per lo smaltimento delle stesse.
Altro esempio riguarda il disastro della Deepwater Horizon nel 2010, BP ha investito pesantemente in campagne pubblicitarie che mettevano in risalto i suoi investimenti in energie rinnovabili, nonostante soltanto una minima parte di questi fosse realmente destinata a fonti di energia sostenibili.
Parallelamente al greenwashing, molte aziende utilizzano il “rainbow-washing”, fenomeno che è particolarmente visibile durante il mese del Pride, quando numerose multinazionali adottano il logo arcobaleno e promuovono messaggi di inclusione, in modo da vendere più prodotti ai ricchi borghesi di cui la comunità LGBT è in massima parte formata.
Un esempio riguarda la multinazionale Nike, che mentre produce linee di abbigliamento per il Pride, viene spesso criticata per le condizioni di lavoro nelle sue fabbriche, dove i diritti dei lavoratori sono spesso violati, e dove nei paesi nel terzo mondo in cui ha delocalizzato, gli omosessuali vengono discriminati per davvero.
Il greenwashing e il rainbow-washing sono insomma strategie che sfruttano il desiderio dei consumatori di fare scelte etiche, essendo poco consapevoli e male informati, mentre l’obiettivo principale delle multinazionali rimane invariato: massimizzare i profitti.
Per favore evitate di farvi prendere per i fondelli, se volete consumare in maniera veramente etica cercate certificazioni rilasciate da enti indipendenti, che verifichino realmente le pratiche sostenibili delle aziende e preferite aziende più piccole e locali che dimostrano un impegno reale e trasparente verso il territorio e il rispetto del popolo.