La protesta di Giorgetti in Europa e la “provocazione” Letta mettono in luce le scelte discutibili del governo italiano, l’inadeguatezza delle istituzioni europee e il ruolo ambiguo di Enrico Letta in questo contesto di crisi politica.
In questi giorni i leader dei Ventisette si stanno riunendo a Bruxelles per il Consiglio europeo. L’obiettivo: definire i nomi dei cosiddetti top jobs delle istituzioni comunitarie, tra cui la presidenza della Commissione, del Consiglio e del Parlamento e l’Alto rappresentante per gli Affari esteri. Tuttavia, ciò che sembrava un semplice processo di nomina è diventato un campo minato, con Francia e Germania da una parte e l’Italia dall’altra. Questo scontro mette in luce l’isolamento politico del governo italiano e la scarsa capacità di negoziazione che ha caratterizzato il mandato di Giorgia Meloni.
Con Macron e Scholz che cercano di imporre la loro volontà grazie ai numeri della nuova Eurocamera, la situazione si complica ulteriormente. La maggioranza Ursula (Ppe, S&D e Renew) ha una fragile maggioranza di 404 seggi, appena sufficienti per superare il quorum di 361. Questo contesto evidenzia la debolezza strutturale dell’Unione Europea, incapace di trovare un equilibrio stabile senza ricorrere a manovre politiche che penalizzano i paesi membri più deboli, come l’Italia.
Giorgia Meloni, ben consapevole del rischio di essere marginalizzata, ha bloccato le trattative, richiedendo un tavolo di discussione che non fosse semplicemente un pretesto per ratificare le decisioni prese altrove. Tuttavia, il suo tentativo appare come un grido nel vuoto, dimostrando la mancanza di un piano strategico efficace da parte del governo italiano.
Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia, ha apertamente denunciato l’isolamento dell’Italia al Consiglio dei governatori del Mes a Lussemburgo, definendolo “assolutamente sbagliato e pregiudizievole verso un Paese fondatore di primaria importanza“. Questo sfogo, seppur legittimo, non risolve il problema di fondo: l’incapacità dell’Italia di ottenere un ruolo di primo piano nelle istituzioni europee, riflesso di una politica estera debole e frammentata.
A complicare ulteriormente le cose, emergono voci secondo cui i socialisti potrebbero proporre Enrico Letta come candidato alternativo qualora il pacchetto attuale dovesse saltare. Questa mossa non solo rischia di ridimensionare il ruolo del commissario italiano, ma rappresenta anche una provocazione verso il governo Meloni, che si trova costretto a navigare tra le pressioni interne e le manovre esterne.
L’atteggiamento dell’Europa nei confronti dell’Italia non è solo una critica all’attuale governo di centro-destra, ma riflette un problema sistemico più ampio: l’uso strumentale delle cariche europee per fini elettorali e di prestigio personale. Questo malcostume è trasversale e alimenta una campagna elettorale perenne a scapito del bene comune.
Nel frattempo, il gruppo Ecr consolida la sua posizione come terzo gruppo dell’Eurocamera, escludendo però Viktor Orbán per incompatibilità e divergenze sulla posizione riguardo Kiev. Questa decisione, seppur in linea con la posizione pro-Ucraina di Meloni, non risolve le profonde fratture all’interno del gruppo stesso e dell’Unione Europea nel suo complesso.
La situazione europea rimane incerta e tesa, con l’Italia che si batte per un trattamento equo e una rappresentanza adeguata nelle istituzioni comunitarie. Tuttavia, le complesse negoziazioni e i precari equilibri politici rischiano di lasciare l’Italia in una posizione sempre più marginale, vittima di un’Europa che continua a dimostrare la sua incapacità di gestire in modo equo e trasparente le dinamiche interne.