di Vincenzo Maida
Mentre la politica nazionale si occupa di altro, spesso di litigi o questioni irrilevanti, e i social media la inseguono su questi temi superficiali, i problemi veri si acuiscono. Tra essi quello della migrazione interna e internazionale.
Dopo una stasi momentanea causata dalla pandemia del Covid 19, la mobilità è ripresa indifferente alle politiche del governo.
Ecco i dati resi noti qualche giorno addietro dall’Istat. Nel biennio 2022-23 sono particolarmente intense le immigrazioni dei cittadini stranieri (complessivamente 697mila). Flussi in aumento, ma meno consistenti, per gli espatri (207mila in due anni, con una variazione media del 10% sul 2021).La mobilità interna è in crescita: in media annua circa un milione 458mila trasferimenti nel biennio, +2,4% rispetto al 2021. Il Nord si conferma l’area del Paese più attrattiva, sia in riferimento ai movimenti con l’estero (+5,2 per mille), sia alla dinamica migratoria interna (+2,1 per mille). Un emigrato italiano su tre ha un’età compresa tra i 25 e i 34 anni: in totale sono 35mila nel 2022, di cui poco meno di 18mila in possesso almeno di una laurea. Dal Mezzogiorno al Centro-nord un trasferimento di residenza su tre.
Il Nord-est continua a essere l’area del Paese più attrattiva, con un tasso migratorio medio annuo per gli anni 2022-2023 pari al +2,4 per mille. All’interno di tale area geografica spicca l’Emilia-Romagna che consegue un tasso migratorio interno netto del +3,6 per mille. Si registra il tasso migratorio interno medio annuo inferiore (+1,8 per mille) nel Nord-ovest, dove gioca un ruolo determinante l’attrattività esercitata dalla Lombardia (+2 per mille).” La differenza con le ondate migratorie dal Sud al Nord, verso le Americhe e il Nord Europa del periodo post unità d’Italia e degli anni ’60, è che allora emigravano le braccia, oggi ad emigrare sono soprattutto i cervelli e questo impoverisce ancora di più il Sud e crea un evidente squilibrio. L’altra differenza è che allora vi era almeno consapevolezza del dramma che avveniva, oggi che abbiamo più mezzi di comunicazione, accade tutto nel silenzio.
Famiglie che si dividono, paesi che si spopolano e impoveriscono, destini che si spezzano, mentre la politica consuma il suo tempo tra polemiche sterili e impotenza di fronte alla ad una realtà socio-economica che procede autonomamente.
Se si studiano i dati Istat, si osserva che dall’Unità d’Italia ad oggi, l’unico periodo storico in cui il meridione è cresciuto demograficamente e l’emorragia dell’emigrazione si é arrestata, è stato quello del ventennio fascista. L’elenco dei provvedimenti di modernizzazione messi in piedi in quel periodo storico sarebbe davvero lungo, chiunque può approfondire tale aspetto attraverso una pubblicistica spesso ignorata.
Tutto questo nonostante una classe dirigente meridionale non sempre all’altezza del compito, anzi. È nota la risposta di un Prefetto di una regione del Sud alla richiesta giunta da Roma di relazionare sulla situazione relativa al fascismo e all’antifascismo. Egli rispose telegraficamente: “Qui in verità non vi è né fascismo e né antifascismo, ma vi sono soltanto conflitti personali”.
Nonostante questo i dati testimoniano che demograficamente il Sud crebbe demograficamente e l’emigrazione si arrestò. Non vi erano ancora le regioni e la politica, centralizzata a Roma a livello ministeriale, funzionava.