La visita di Benjamin Netanyahu negli Stati Uniti si preannuncia come una delle più delicate e controverse degli ultimi anni. In un’agenda fitta di appuntamenti, il primo ministro israeliano è impegnato a bilanciare incontri con figure politiche chiave, tra cui il presidente Joe Biden e l’ex presidente Donald Trump. Tuttavia, una significativa assenza si fa notare: quella della vicepresidente Kamala Harris, che ha declinato l’incontro con Netanyahu dichiarando di avere “altri impegni“.
La scelta di Harris non può essere interpretata semplicemente come un problema di agenda. La vicepresidente americana ha voluto mandare un messaggio chiaro: la politica espansionistica israeliana e le relazioni ambigue con la figura divisiva di Donald Trump non sono gradite da una parte dell’amministrazione Biden. Infatti, Netanyahu si trova a Washington non solo per discutere questioni bilaterali ma anche per consolidare il suo rapporto con Trump, un gesto che sembra più orientato a fini interni israeliani che a reali interessi diplomatici.
Il viaggio di Netanyahu è iniziato con un discorso al Congresso degli Stati Uniti, in cui ha cercato di ribadire la necessità di mantenere una posizione ferma nei confronti di Hamas e delle altre organizzazioni palestinesi. Tuttavia, la sua retorica di rigore è stata messa in discussione dalle famiglie dei 23 ostaggi attualmente detenuti a Gaza, che hanno pressato il premier affinché trovi un accordo per il loro rilascio. Le loro richieste, accompagnate dalle emozionanti testimonianze come quella di Noa Argamani, liberata dopo 246 giorni di prigionia, sottolineano la crescente insoddisfazione verso la gestione della situazione da parte del governo israeliano.
In patria, Netanyahu è in forte difficoltà, tra scandali politici e critiche interne per la sua gestione del conflitto con i palestinesi. La sua ricerca disperata di qualunque appoggio dagli Stati Uniti è vista come un tentativo di salvare la sua poltrona e la sua personale guerra ai palestinesi. Le tensioni interne al suo governo e la crescente pressione internazionale lo spingono a cercare un sostegno forte e inequivocabile da parte degli Stati Uniti, sperando di rafforzare la sua posizione sia a livello domestico che internazionale.
L’incontro con Biden, previsto per domani, sarà cruciale per comprendere la direzione delle future relazioni israelo-americane. Biden, noto per la sua politica di moderazione, potrebbe esercitare pressioni su Netanyahu affinché adotti un approccio più conciliante e meno aggressivo nei confronti dei palestinesi, in linea con l’accordo di riconciliazione nazionale ad interim tra Hamas e Fatah mediato dalla Cina.
Ma è l’incontro con Trump a sollevare le maggiori polemiche. Il tycoon, che continua a esercitare una notevole influenza sulla politica israeliana attraverso il suo rapporto personale con Netanyahu e altri leader della destra israeliana, rappresenta una figura divisiva tanto negli Stati Uniti quanto in Israele. La decisione di Netanyahu di recarsi a Mar-a-Lago dopo il suo discorso al Congresso è vista da molti come un tentativo di consolidare il supporto della destra sia in patria che oltreoceano, ignorando le ripercussioni diplomatiche di un tale gesto.
Mentre Netanyahu celebra il compleanno del figlio Yair in Florida, lontano dalle polemiche che lo circondano in Israele, il suo viaggio negli Stati Uniti rischia di trasformarsi in un boomerang diplomatico. Senza un accordo tangibile con Hamas e con la crescente tensione all’interno della comunità internazionale, il premier israeliano potrebbe tornare a casa con poche certezze e molti dubbi sul futuro delle relazioni israelo-americane.