di Giovanni Amicarella
Ultimamente è diventato uso comune per le organizzazioni rifuggire le idee radicali per crogiolarsi in due approcci: il movimentismo tout-court o la metafisica (meglio dire patafisica, la “scienza” delle soluzioni immaginarie) spicciola. Basicamente sembra che fra il fare la comparsata allo sciopero o dilungarsi alla Richard Benson su il valore intrinsecamente simbolico della “canfora, del fico sacro, ecc.”, non ci sia una miriade di approcci e possibilità d’azione. Di per sé sono ambedue approcci reazionari che ricordano molto un aneddoto storico non recente.
Daniel De Leon, sindacalista americano, ebbe modo nel secolo scorso di assistere ad un’analogo scontro di idee e forze nel merito a Stoccarda: da una parte i sostenitori dell’azione economicista, molti di essi spontaneisti, che speravano di farsi strada fra le file degli operai tuffandosi a caso agli scioperi, arrivando al punto di coprire o appropriarsi di ciò che i lavoratori stavano facendo in modo spontaneo. Gli altri, i sostenitori della sola azione politica intellettuale, che si rifugiavano nei “muri di testo”, alcuni dal gusto simbolista, decretando che lo scarso interesse suscitato nel proletariato fosse dimostrazione tangibile di una “non abbastanza” maturità per seguirli nell’edificazione del loro nuovo mondo privo di iniquità.
De Leon, che aveva un sarcasmo devastante, li definì pubblicamente “orsi polari ai tropici e scimmie al polo nord”. Fuori posto, terribilmente, ma messi da parte gli ometti che facevano capo alle correnti e che ne generavano gli eccessi per paura dell’oblio, terribilmente complementari. Un’organizzazione, secondo lui, doveva avere entrambe le componenti, cosa che le rivoluzioni dopo di lui dimostrarono a pieno.
Quindi: per buona pace di tutti, diversificate al vostro interno. Date la penna allo scrittore e l’asta della bandiera al militante di piazza. Non è difficile.
Bene fece De Leon a mettere in guardia sia da quegli intellettuali che dall’alto della loro torre d’avorio guardano con sussiego e malcelato disprezzo la gente impegnata nelle cose pratiche della vita quotidiana, sia da quei saltimbanchi che, cavalcando il malcontento popolare, si esibiscono in un attivismo inconcludente, in un agitarsi senza bandiera e senza spina dorsale che viene facilmente riassorbito e manipolato dal sistema (ve lo ricordate Di Maio, passato in un batter d’occhio dai Gilet Gialli a Mario Draghi?).
Detto questo, bisogna comprendere che tutto dipende dai princìpi, dai valori, dalle idee, dalla cultura.
Gramsci (lo so che qualcuno storcerà il naso, ma la sua lezione è importante) insegnava ai comunisti quanto fosse cruciale la conquista dell’egemonia nel campo culturale, conquista che non si ottiene dall’oggi al domani, ma solo con un lungo e difficile lavoro in cui la critica dello stato di cose presente deve sempre essere ispirata da una nuova concezione del mondo.
Rifiutata ogni filosofia atea e materialistica così come quelle basate su un idealismo immanentistico, per rovesciare i rapporti di forza tra dominati e dominanti, è indispensabile un’organizzazione dotata di una dottrina unitaria e condivisa, ispirata da una visione spirituale della vita. Senza teoria non è possibile una linea politica coerente, cioè autonoma, sottratta all’influenza e alla direzione dei poteri dominanti.
Assolutamente, è fondamentale avere sia l’idea che l’azione. Il problema è quando si vuole ridurre tutto ad avere sono una delle due, e peggio ancora, quando l’unica delle due che si ha è anche terribilmente scadente.